martedì,Novembre 26 2024

Legge Cartabia nel Vibonese e dintorni: informazione incompleta. E il Pg Salvi ci dà ragione

I nomi degli arrestati non vengono più resi noti nei comunicati ufficiali delle forze dell’ordine in base ad un’interpretazione errata di quanto voluto dal ministro della Giustizia. Gli antefatti di una situazione paradossale, il monito di Gratteri, la circolare del Pg della Cassazione e la timida reazione di buona parte dei giornalisti…

Legge Cartabia nel Vibonese e dintorni: informazione incompleta. E il Pg Salvi ci dà ragione
Il ministro Marta Cartabia e il Pg della Cassazione Giovanni Salvi

Legge Cartabia e diritto di cronaca ostacolato. Non manca di far sentire i propri effetti anche nella nostra regione – ed in particolare nel Vibonese e nel Reggino – il decreto voluto dal ministro della Giustizia, la ciellina Marta Cartabia che, partendo dalla presunzione di innocenza sancita dalla Costituzione, ha finito di fatto per “imbavagliare” la stampa e il diritto di cronaca (anche questo riconosciuto dalla Costituzione) grazie ad un’interpretazione, a nostro avviso del tutto errata, che a certe latitudini è stata data, e si continua a dare, alla legge stessa. [Continua in basso]

Gli antefatti ben precedenti alla Cartabia

Partiamo da alcuni antefatti. Ben prima dell’entrata in vigore della legge Cartabia – almeno un anno prima – improvvisamente nei comunicati stampa inviati dalle forze dell’ordine del Vibonese è scomparso ogni riferimento ai nomi degli arrestati di turno. Ha iniziato la polizia, a ruota sono seguiti i carabinieri. Da un giorno all’altro – e ripetiamo, comunicati stampa alla mano, oltre un anno e mezzo prima della Cartabia – si è prima passati in un primo tempo all’indicazione delle sole iniziali degli arrestati, poi all’eliminazione totale dei nomi. Alla richiesta di spiegazioni da parte dei giornalisti (o meglio, non di tutti i giornalisti perché ad alcuni continua ad interessare solo il “copia ed incolla”, a prescindere dal contenuto dei comunicati stampa) è stato sempre risposto: “Così vuole la Procura”. Del tutto inutile si è rivelato il tentativo di ribadire a polizia e carabinieri che le misure cautelari – quali che esse siano – sono fatti seri, attengono alle libertà personali e quindi sono fatti che interessano un’intera comunità perchè non è minimamente concepibile in uno Stato di diritto (tranne che non piacciano le dittature dei Paesi Sudamericani) che vengano inviati dalle forze di polizia comunicati stampa (che per i giornalisti costituiscono una fonte di notizia primaria) con notizie di arresti senza nomi. Semplicemente perché la notizia di un arresto senza nome diventa una non notizia e mortifica anche la professionalità dei giornalisti. E’ come se nel fare la cronaca di una partita di calcio, improvvisamente si vietasse al giornalista la possibilità di riferire i nomi dei marcatori, a differenza del risultato finale della partita. In verità va detto che sono stati molti i carabinieri ed i poliziotti – con i quali il sottoscritto ha avuto modo di confrontarsi in tutta la Calabria ed oltre – a trovarsi d’accordo nel dover fornire i nomi degli arrestati di turno nei comunicati stampa.

Altri – pochi per fortuna – sono stati invece di diversa opinione: dare il nome dell’arrestato non è importante – ci ha riferito qualcuno di loro –, l’importante è che sia stata portata a termine l’attività investigativa con l’esecuzione della misura cautelare. Inutile far notare che gli organi di informazione hanno un ruolo importantissimo nella divulgazione di notizie il più possibile complete e che, in ogni caso, i giornali (cartacei o on line che siano) e gli altri organi di informazione (radio e Tv) non sono dei “bollettini” ad uso e consumo della forza dell’ordine di turno o della Procura di turno. “Così vuole l’autorità giudiziaria”, ci è stato più volte ribadito. Abbiamo così provato insieme a qualche collega, che si occupa di nera e giudiziaria in Calabria, a chiedere spiegazioni a più di un magistrato inquirente sui motivi per i quali improvvisamente in provincia di Reggio Calabria e poi a Vibo Valentia, non venivano più forniti i nomi degli arrestati nei comunicati stampa (e questo, lo ripetiamo ancora una volta, ben prima della legge Cartabia). Sempre identica la risposta ottenuta da tutti i magistrati interpellati: “Se non ci sono minori coinvolti o reati a sfondo sessuale dove occorre tutelare l’identità delle vittime, il nome dell’arrestato si può e si deve comunicare”. Fatto sta che poi, puntualmente, il nome dell’arrestato di turno non veniva fornito nei comunicati stampa, specialmente nel Reggino e nel Vibonese. Forze dell’ordine che scaricavano la responsabilità della mancata comunicazione dei nomi degli arrestati sui Pm e Procure che scaricavano sulle forze di polizia. Tutto questo avveniva almeno un anno prima della legge Cartabia.

Per la Finanza c’è la privacy…

Un discorso a parte merita, invece, la Guardia di Finanza che, a differenza di polizia e carabinieri, nei propri comunicati stampa non ha mai fornito in tutta Italia (salvo rare eccezioni) né i nomi degli arrestati e né quelli delle aziende destinatarie dei provvedimenti di sequestro. Abbiamo provato a chiedere continue spiegazioni – in tempi non sospetti ed anni prima della Cartabia – ai più alti vertici delle Fiamme Gialle i motivi di tale loro forma di comunicazione (che diventa una non comunicazione). Questa la risposta: C’è la normativa sulla privacy, non possiamo fornire i nomi degli arrestati e delle aziende coinvolte nei sequestri…”. Facile per il cronista far notare che la legge sulla privacy non c’entra assolutamente nulla, tanto che polizia e carabinieri fornivano regolarmente generalità complete degli arrestati ed anche le foto, ma dopo un’alzata di spalle la risposta della Gdf è stata la seguente:Abbiamo una circolare interna che ci impedisce di fornire i nominativi degli arrestati…”!

Ancora più surreale la telefonata che abbiamo avuto nel maggio del 2018 con un capitano della Guardia di Finanza a proposito dell’invio di un comunicato stampa per un sequestro milionario di beni ad un imprenditore vibonese (naturalmente senza alcun riferimento a nomi o località). Notizia data dalla nostra testata sin dal novembre 2017 con tutti i particolari del caso ricavati dal decreto di sequestro. “Scusi, ma il riferimento al comunicato stampa odierno si riferisce per caso al sequestro avvenuto 6 mesi fa”? Ottenuta risposta affermativa, abbiamo chiesto allora come mai la Guardia di Finanza avesse deciso di darne notizia con così tanto ritardo. Questa la risposta ottenuta: “Siccome l’imprenditore al quale abbiamo sequestrato i beni, un mese dopo il sequestro è deceduto, non volevamo speculare sulla morte”. Bene. Anzi, male. Abbiamo fatto a questo punto osservare che da allora sono passati cinque mesi e che comunque un sequestro milionario senza nomi era per noi – e per l’opinione pubblica – una non notizia. A tali osservazioni la risposta è stata la seguente: “Ma che importa il nome o che ne venga data notizia cinque mesi dopo la morte? L’importante è che l’attività della Guardia di Finanza ha permesso di far confluire nel patrimonio dello Stato beni per milioni di euro”. Ci siamo limitati – dinanzi a simili affermazioni e ricordando in ogni caso che la nostra testata aveva già pubblicato per tempo la notizia senza aspettare alcun comunicato privo di nomi – a far osservare alla Finanza di non essere per nulla d’accordo con tale modalità di gestione della notizia. Ma niente è cambiato. [Continua in basso]

L’alibi della Cartabia

E veniamo ora alla legge Cartabia che per qualcuno in Calabria, stando agli antefatti raccontati (ma si potrebbe scrivere ancora a lungo) è stata più che una “manna dal cielo”, per come sottolineato pure dall’ottimo collega Claudio Cordova sul Dispaccio. In tale legge – che molti colleghi giornalisti, e non solo, dimostrano di non aver neanche letto – c’è scritto davvero che le forze dell’ordine e le Procure non possono fornire i nomi degli arrestati? Proprio per nulla.
Eccone la previsione sul punto: “E’ fatto divieto alle autorità pubbliche di indicare pubblicamente come colpevole – dice la legge Cartabia – la persona sottoposta a indagini o l’imputato fino a quando la colpevolezza non è stata accertata con sentenza o decreto penale di condanna irrevocabili”.
La legge, anche se inutile, è chiara: i nomi degli arrestati possono essere comunicati da Procure e forze dell’ordine purchè i destinatari della misura non vengano indicati come colpevoli. Tralasciando il fatto che non c’era davvero bisogno della Cartabia per ribadire a giornalisti e inquirenti quanto già sancito dalla Costituzione (promemoria inutile, quindi), una cosa è comunque evidentissima: i nomi degli arrestati possono continuare ad essere comunicati dalle forze di polizia e dalle Procure.

Andiamo avanti. Sempre la legge Cartabia recita: La diffusione di informazioni sui procedimenti penali è consentita solo quando è strettamente necessaria per la prosecuzione delle indagini o ricorrono altre specifiche ragioni di interesse pubblico. Le informazioni sui procedimenti in corso sono fornite in modo da chiarire la fase in cui il procedimento pende e da assicurare, in ogni caso, il diritto della persona sottoposta a indagini e dell’imputato a non essere indicati come colpevoli fino a quando la colpevolezza non è stata accertata con sentenza o decreto penale di condanna irrevocabili”.
Come si vede – carta canta – pure in tali passaggi non vi è alcuna menzione a divieti nel fornire i nominativi dei destinatari di misure cautelari. Anzi – e non occorre essere Carnelutti per capirlo – è l’esatto contrario: viene raccomandato di non presentare l’indagato di turno o l’arrestato o imputato come colpevole sino a sentenza definitiva, il che vuol dire che i nomi degli arrestati gli inquirenti possono benissimo comunicarli (non si può raccomandare di non indicare qualcuno come colpevole se questo qualcuno non viene neanche menzionato…). [Continua in basso]

Sempre la legge Cartabia prevede poi che sia compito dell’autorità giudiziaria permettere la diffusione di notizie su indagini in corso “esclusivamente tramite comunicati ufficiali oppure, nei casi di particolare rilevanza pubblica dei fatti, tramite conferenze stampa. La determinazione di procedere a conferenza stampa è assunta con atto motivato in ordine alle specifiche ragioni di pubblico interesse che la giustificano”. E pure qui, come si vede, nessun divieto di fornire i nominativi degli arrestati.

Ed allora, stando così le cose, perché nel Vibonese e nel Reggino i nomi degli arrestati di turno (con casi clamorosi come la mancata comunicazione dei nomi dei recenti arrestati per ‘ndrangheta nella Vallata dello Stilaro) non vengono più comunicati? Semplice: per decisione esclusiva dell’autorità giudiziaria di turno che sta operando un’interpretazione sbagliata della legge Cartabia.
In alcune realtà, come il Brindisino, ad esempio, da tempo le forze dell’ordine – in ossequio alla Cartabia – hanno smesso di fornire qualunque notizia ai giornalisti attraverso comunicati stampa. In altre realtà come il Reggino ed il Vibonese – invece – si è preferita altra strada: comunicare i vari arresti (anche per dare il giusto lustro ad investigatori il cui lavoro è spesso esemplare) senza però fornire nomi e, addirittura, ultimamente neanche la località dove si sono svolti i fatti. Un modus operandi che sta creando danni enormi ad un tessuto sociale che, a parole, si vorrebbe in molte realtà risanare. Perché un’opinione pubblica che non viene più messa in condizioni di comprendere nella loro completezza gli avvenimenti attraverso fonti ufficiali (e gli avvenimenti, ovviamente, diventano completi soprattutto con la conoscenza di tutti i protagonisti di una vicenda giudiziaria) finisce per affidarsi al “chiacchericcio” da strada o da bar. E come si concilia tutto ciò con i proclami che si sentono ad ogni manifestazione antimafia circa il fatto che la ‘ndrangheta, le mafie e il malaffare si nutrono per crescere proprio del silenzio, della disinformazione e della non conoscenza dei fatti? Semplicemente non si concilia.

La timida reazione dei giornalisti

Ha quindi ragione da vendere il procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, quando ha affermato che molto blanda è stata sinora la reazione della categoria dei giornalisti in Italia dinanzi alla legge Cartabia. E se da un lato tale mancata reazione era prevedibile a certe latitudini giornalistiche – non puoi di certo aspettarti battaglie da chi magari si trova indagato in Rinascita Scott e spera che certe notizie sul proprio conto non escano mai fuori – , dall’altro meraviglia (e non poco), che proprio nei distretti giudiziari di Reggio Calabria e Catanzaro (che il procuratore Gratteri ben conosce) si sia preferito aderire ad un’interpretazione così inesatta della legge Cartabia.

E’ solo di ieri il comunicato stampa – tanto per fare un esempio – fornito dai carabinieri sull’arresto di un 36enne fermato in auto vicino al Porto di Gioia Tauro con ben 87 chili di cocaina. Stando al comunicato stampa ufficiale, l’opinione pubblica non deve conoscere il nominativo dell’arrestato. E’ normale? Proprio per nulla, perché la legge Cartabia non prevede affatto questo.
Ma nel Vibonese è accaduto anche di peggio. Il 10 marzo scorso, ad esempio, due persone sono state fermate dai carabinieri con l’accusa di aver accoltellato il 28 febbraio, in un bar sito sulla Statale 18, il 56enne Nazzareno Castagna. Ebbene, ad oggi, stando ai comunicati ufficiali forniti dagli inquirenti, i cittadini del Vibonese non conoscono i nomi delle due persone arrestate. Uno lo riveliamo noi ora per la prima volta, essendo in grado di procurarci ancora le notizie a prescindere dalle comunicazioni ufficiali ed a dimostrazione che – almeno per chi vi scrive – l’andare oltre le comunicazioni ufficiali degli inquirenti è quasi un obbligo ed un dovere. Uno dei due arrestati è Giuseppe Mancuso (cl. ’77), figlio del defunto boss di Limbadi Pantaleone Mancuso, detto “Vetrinetta”. E vale naturalmente anche per lui, al pari di tutti gli arrestati, la presunzione di non colpevolezza sino a sentenza definitiva così come vuole la Costituzione ed al di là delle raccomandazioni della legge Cartabia e delle “veline di regime” che si vorrebbe imporre. L’altro nominativo del fermato lo daremo appena in possesso.
Ma la citazione di tale caso è emblematica dei “guasti” al sistema dell’informazione che sta causando un’interpretazione sbagliata della legge Cartabia. Per restare in tema, è di questa settimana altra paradossale vicenda: uno storico quotidiano diffuso principalmente in Calabria ma con sede centrale in altra regione, nel dare notizia di un sequestro di beni, avvenuto nel Vibonese, nell’edizione on line ha fornito le generalità del destinatario del provvedimento, nell’edizione cartacea del giorno successivo, invece, la notizia era senza nome. Com’è possibile tutto ciò? Semplice: nell’edizione on line, qualcuno (senza citare alcuna Agenzia, peraltro) ha pubblicato la notizia battuta dal sottoscritto sull’Agi (Agenzia giornalistica Italia) con i riferimenti ai nomi e alla località del sequestro, nell’edizione cartacea del giorno successivo è stato invece pubblicato il comunicato della polizia diffuso senza nomi. Stesso giornale, ma due modalità di pubblicazioni differenti fra on line ed edizione cartacea: i lettori dell’on line conoscono i nomi, quelli del cartaceo no.

Divieti inesistenti

Chiusa tale parentesi, per quanto ci riguarda continueremo a fornire notizie di cronaca nera o giudiziaria solamente con i nomi dei protagonisti, con tutte le garanzie previste dalla Costituzione come sempre abbiamo fatto ed essendo ben in grado – nella stragrande maggioranza dei casi – di procurarci autonomamente le notizie. Ma resta il fatto che un’interpretazione inadeguata della legge Cartabia è solo un regalo che si fa a chi si nutre di silenzi per i propri affari, perché l’arresto di un cittadino è un atto pubblico che non può, e non deve, essere nascosto ed anche perché la legge Cartabia non dice affatto che non si possa comunicare. Non è un caso che magistrati come l’attuale procuratore di Perugia, Raffaele Cantone, abbiano sin da subito evidenziato la possibilità per i procuratori di fornire notizie ai giornalisti (e quindi all’opinione pubblica) con i nomi degli arrestati, così come non è un caso che il Gruppo dei Cronisti lombardi (a differenza di molti colleghi calabresi che, contenti, fanno a gara ad inoltrare nei gruppi Whatsapp la pubblicazione sulle loro testate di notizie prive di nomi, e quindi delle non notizie) abbia sottolineato come “la restrizione in capo a pochi soggetti di cosa sia possibile raccontare rischia di determinare una ‘selezione a monte’ delle notizie, cioè che vengano fatte filtrare solo quelle favorevoli o di interesse agli organi inquirenti, producendo così una distorsione della narrazione del Paese”. Le “veline di regime”, appunto.

La circolare del Pg della Cassazione ci dà ragione

Naturalmente, la nostra testata (e chi vi scrive) è aperta al contributo di tutti coloro – investigatori, magistrati, giuristi, avvocati, politici, giornalisti, semplici cittadini – che vorranno pronunciarsi sull’argomento, senza però aver prima ricordato quanto scritto in una circolare, proprio in questi giorni, dal procuratore generale della Cassazione (quello a cui per legge spetta l’azione disciplinare nei confronti dei magistrati) Giovanni Salvi sulla legge Cartabia. Si tratta di un documento con il quale vengono definiti gli orientamenti della Suprema Corte in materia di comunicazione istituzionale sui procedimenti penali. “Ben vengano il rispetto della presunzione d’innocenza e della dignità della persona, ma la direttiva europea – ha ricordato Giovanni Salvi – recepita dal Governo italiano e che impone ai capi delle Procure una comunicazione più sobria, avrebbe come effetto quello di lasciare tutto in mano alle parti private, cioè agli avvocati, con il rischio che il processo si svolga non nelle aule di giustizia, ma in quelle dei mezzi di comunicazione di massa”, lasciati in mano agli avvocati ed alle loro “verità”.
La circolare è stata inviata a tutti i procuratori generali e, per loro tramite, ai Pm di tutta Italia e nella stessa viene ricordato che informare correttamente e in maniera completa l’opinione pubblica “non è un diritto di libertà del pubblico ministero o del giudice, ma è un dovere preciso dell’Ufficio”. Le Procure, quindi, hanno sicuramente il compito di preoccuparsi di fornire un’informazione “corretta, imparziale e rispettosa della persona, completa ed efficace”, oltre che rispettosa della segretezza di alcuni atti. Ma non ci potrà essere nessun altro limite.

Con buona pace di chi vorrebbe far dipendere i giornalisti solo dalle parti private – cioè gli avvocati – nel recuperare notizie su vicende giudiziarie, di chi ha scambiato le redazioni dei giornali per uffici-stampa delle forze dell’ordine ed anche con buona pace di tutti quei colleghi che continuano a fare “copia e incolla” di non notizie (perché la pubblicazione di un arresto senza nomi – lo ripeteremo all’infinito – è una non notizia) o si appropriano del lavoro altrui.

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