Confisca dei beni, Campennì rivendica la correttezza del proprio operato
Il 56enne di Nicotera respinge ogni accusa e spiega le proprie ragioni sul recente provvedimento della sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Catanzaro

Da Giovanni Campennì nato a Vibo Valentia il 23.06.1966 e residente in Nicotera, riceviamo e pubblichiamo:
«Ho lavorato dal 1995 nel settore rifiuti dapprima con la ditta di mio padre e poi con la mia consorte dando vita nel 2009 alla Fenice Servizi Ambientali che si è occupata per 10 anni di vendita e noleggio di mezzi speciali per l’ecologia. Nel 2014 vengo indagato per intestazione fittizia nel procedimento Mafia Capitale-Mondo di Mezzo pur avendo avuto col presidente della “29 Giugno”, Salvatore Buzzi, rapporti trasparenti di lavoro e amicizia. Al termine delle indagini, il 12 agosto 2019 beneficio di un provvedimento di archiviazione stante l’evidente mia estraneità alle vicende delittuose capitoline. Ma nel frattempo, il Tribunale di Catanzaro, Sezione Misure di Prevenzione, senza accertarsi di ciò – l’avvenuta archiviazione – mi notificava con soli 25 giorni d’anticipo, un sequestro preventivo d’urgenza includente tutti i beni aziendali, personali e finanche una polizza assicurativa di mio figlio studente universitario. Le vicissitudini giudiziarie che mi hanno fatto subire un sequestro da parte del Tribunale di Catanzaro, sezione Misure di Prevenzione, trovano scaturigine nel procedimento Mafia Capitale – Mondo di Mezzo e nelle dichiarazioni accusatorie di un collaboratore di giustizia tale Andrea Mantella che mi ritiene uomo dei Mancuso. Innanzitutto, voglio fare chiarezza circa la mia assoluta estraneità a qualsivoglia contesto di criminalità organizzata locale e nazionale.
A dispetto, infatti, di quello che viene riportato negli articoli, laddove vengo descritto come soggetto appartenente al clan Mancuso, io non solo non sono mai stato condannato in ordine al reato di associazione mafiosa, ma allo stato non sono mai stato nemmeno indagato o finanche lambito negli innumerevoli procedimenti condotti dalla Direzione distrettuale antimafia catanzarese nei confronti dei sodalizi presuntamente operanti nel territorio Vibonese. A riprova di ciò basterà considerare come il nome Campennì Giovanni non appaia nel registro degli indagati in nessuno dei famigerati procedimenti dell’ultimo ventennio, quali Dinasty – Black Money – Purgatorio – Costa Pulita e da ultimo Rinascita-Scott. Ciò nonostante, detto elemento è stato particolarmente determinante nell’ambito del procedimento di Misure di Prevenzione svoltosi innanzi al Tribunale di Catanzaro, tanto che sono stato ritenuto soggetto socialmente pericoloso dall’anno 2009 sino al 2014.
Proprio in merito a tali elementi mi preme chiarire che i rapporti con Salvatore Buzzi effettivamente risalenti a quel periodo erano esclusivamente di natura lavorativa. In particolare, avevo collaborato con il predetto sia nella gestione del centro di accoglienza per migranti di Cropani Marina, sia nel corso dell’emergenza rifiuti scoppiato negli anni a seguire nel Vibonese. Non pare trascurabile che in entrambi i casi l’assoluta liceità delle attività svolte veniva garantita dal costante controllo della Prefettura. Con riferimento, invece, alla dichiarazione di Mantella Andrea, secondo cui sarei l’uomo dei Mancuso operante nel settore dei rifiuti, basterà considerare che le richiamate dichiarazioni non sono state ritenute idonee nemmeno a farmi iscrivere nel registro degli indagati in un qualsivoglia procedimento penale. Ebbene, tali elementi assolutamente inconcludenti sul piano della responsabilità penale in ordine a specifici fatti di reato, sono stati utilizzati nel procedimento di misure di prevenzione – basatosi su meri sospetti privi di alcun valido riscontro – al fine di procedere al sequestro ed alla successiva confisca di parte del patrimonio aziendale e personale dello scrivente. Io oggi pur non essendo stato destinatario di una misura di prevenzione personale, pur non essendo mai stato né condannato né indagato in processi di criminalità organizzata, continuo ad essere etichettato in modo assolutamente ingiustificato ed illegittimo quale persona intranea ad un sodalizio di ‘ndrangheta, con ogni ben immaginabile effetto nefasto per l’immagine personale e familiare, nonché in relazione alla possibilità di svolgere un’attività lavorativa con regolare contratto di lavoro. In ultimo, mi rendo disponibile a confrontarmi con chiunque ed in qualunque sede sui fatti sopra indicati, nonché a fornire ogni chiarimento necessario, considerando che per tutti e tre i gradi di giudizio non siamo stati mai sentiti sui fatti e sulle dichiarazioni accusatorie e ciò è riprovevole e vergognoso».
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