Imponimento: il lido bruciato a Pizzo e l’hotel “puntato” dagli Anello e dai Mancuso
Il collaboratore Giuseppe Comito ha raccontato dell’incendio alla struttura che doveva sorgere fra il Club Med ed il Garden degli Stillitani e poi della vicenda che avrebbe visto insieme imprenditori e soggetti vicini ai clan
Una struttura turistica rasa al suolo da un incendio perché secondo i titolari del villaggio accanto avrebbe potuto disturbare la loro clientela ed un albergo offerto ai clan quale contropartita per la restituzione di denaro. Nel processo Imponimento ha trovato spazio anche ieri la vicenda di un lido in costruzione in località Difesa del comune di Pizzo incendiato durante le fasi di costruzione. A ripercorre gli eventi è stato questa volta il collaboratore di giustizia, Giuseppe Comito, di Vibo Marina, esaminato dal pm della Dda di Catanzaro, Antonio De Bernardo, dinanzi al Tribunale collegiale di Lamezia Terme. “Il lido era di proprietà di un signore di Pizzo, già proprietario dell’Olimpus. Ricordo che un giorno sulla spiaggia vicino al Club Med è arrivata una ditta per realizzare dei pozzetti per tale lido. Io all’epoca – ha spiegato Comito – lavoravo come guardiano al Club Med e ricordo che il proprietario Emanuele Stillitani diceva che ci sarebbe stato un casino se questo lido, aperto al pubblico, fosse entrato in funzione perché dal lido secondo lui le persone potevano intrufolarsi pure nel villaggio Club Med che aveva la discoteca in spiaggia e pure il ristorante lì vicino. Stillitani temeva che persone estranee al suo villaggio potessero così disturbare gli ospiti del Club Med. Per Stillitani era una cosa grave la realizzazione di tale lido e bisognava porre rimedio. Il Club Med non voleva altri lidi vicini. E’ stato Franco Di Leo su mandato di Emanuele Stillitani – ha aggiunto il collaboratore – ad informarsi al Comune di Pizzo su chi ci fosse dietro tale lido, ma si scoprì che era tutto in regola e i titolari erano muniti di regolare concessione”.
Ecco così che, secondo il ricordo di Giuseppe Comito, nel corso di una riunione alla quale sarebbero stati presenti Nino Accorinti (indicato come il boss indiscusso di Briatico), Salvatore Muggeri (genero di Accorinti), Saverio Prostamo (ritenuto vicino agli Accorinti), Bruno Bilotta, lo stesso Giuseppe Comito ed altre persone, Emanuele Stillitani avrebbe detto: “Questo lido non deve aprire”. Iniziò così l’opera di disturbo ai proprietari del lido: Michele Marcello, Eleonora Marcello e Domenico Marcello, fratello di Eleonora ed all’epoca dei fatti gestore dell’Olimpus di Pizzo, oggi tutti parte civile nel processo con l’assistenza dell’avvocato Giovanna Fronte. “Bruno Bilotta – ha dichiarato il collaboratore – era il capo giardiniere degli Stillitani e ricordo che su input di Stillitani e Nino Accorinti ci ha prestato il suo trattore per scaricare tanta terra sulla strada che conduceva al lido in modo da chiuderla completamente e ostruirne così il passaggio alle auto. E’ stato Nino Accorinti a dire a me ed agli altri guardiani del Club Med di realizzare con la terra degli sbarramenti alla strada di accesso al lido per fare un favore ad Emanuele Stillitani. Quest’ultimo era presente quando abbiamo preso il trattore di Bilotta. Anche altra strada di accesso al lido era stata ostruita e sapevamo che era stata gente di Rocco Anello, cioè i guardiani del villaggio Garden” degli Stillitani. Un racconto, quello di Giuseppe Comito, che coincide perfettamente su tale punto con quello già reso nelle precedenti udienze dal collaboratore di giustizia Francesco Michienzi di Acconia di Curinga. “Una mattina ricordo di essere sceso in spiaggia – ha aggiunto Comito – e ho trovato il lido tutto bruciato, era andato tutto in cenere. Non so chi ha appiccato l’incendio, ho visto però nell’occasione che Salvatore Muggeri e Saverio Prostamo guardavano compiaciuti il rogo. Il lido non ha più aperto”. Da ricordare che sotto processo in Imponimento dei soggetti menzionati dal collaboratore si trova solo Stillitani. [Continua in basso]
La “cordata” fra imprenditori e i clan
Nei racconti di Giuseppe Comito ha trovato poi spazio un altro episodio che ha visto insieme – stando al suo racconto –imprenditori e soggetti vicini ai clan. “Io ero amico di Vito Santacroce e sono venuto a sapere da Bruno Barba, figlio di Franco Barba, che Santacroce aveva comprato un terreno a Pizzo per realizzare una struttura. Dopo l’acquisto, Santacroce voleva vendere il progetto alla ditta Evalto, ma – ha spiegato Comito – l’accordo non è stato raggiunto. Franco Barba era un costruttore di Vibo legato al clan Lo Bianco ed anche a Pantaleone Mancuso, detto Scarpuni, ed è stato poi arrestato. Per l’acquisto di questo terreno, oltre a Santacroce e Franco Barba c’erano anche Francesco Mallamace ed i Ceravolo, in particolare Giampiero, cioè l’imprenditore che aveva subito l’estorsione da Pantaleone Mancuso. I rapporti fra Franco Barba e Giampiero Ceravolo in tale affare si sono rotti perché Mallamace non sapeva inizialmente che nell’acquisto del terreno fosse coinvolto pure Ceravolo. Essendo Mallamace – ha spiegato il collaboratore – uomo degli Anello ma anche amico di Pantaleone Mancuso, Scarpuni, non ha più voluto fare affari insieme ai Ceravolo che nel frattempo avevano denunciato Scarpuni per altra estorsione. Santacroce doveva così restituire 160mila euro a Franco Barba che aveva anticipato i soldi”. Non avendo Santacroce tale denaro da restituire, la vicenda – secondo Comito – sarebbe stata risolta da Pantaleone Mancuso, alias Scarpuni.
“Sono stato io – ha ricordato il collaboratore – ad interloquire con Santacroce ed a portarlo al cospetto di Pantaleone Mancuso il quale voleva i soldi da Santacroce sostenendo che li aveva prestati lui a Franco Barba il quale glieli doveva a titolo di estorsione per aver realizzato delle villette destinate agli inglesi nel villaggio degli Stillitani. In pratica, Franco Barba aveva fatto da collettore dell’estorsione per le villette. Santacroce, per ripianare il suo debito, propose quindi a Scarpuni la cessione del suo terremo, ma Mancuso non lo volle”. Ecco così il nuovo accordo. “Siccome Santacroce voleva anche fare un hotel all’uscita dello svincolo autostradale di Pizzo, in territorio di Francavilla Angitola, venne raggiunto il seguente accordo: gli scavi per la costruzione di tale albergo li dovevamo fare io e Francesco Alessandria di Soriano. La gestione dell’albergo una volta finito doveva invece passare a Rocco Anello perché realizzato sul suo territorio di competenza e su questo era d’accordo Pantaleone Mancuso. Per le imbasciate fra me, Alessandria e Pantaleone Mancuso da un lato e Rocco Anello dall’altro, utilizzavamo Nicola Monteleone di Polia. Alla fine Alessandria è stato arrestato e l’affare dell’hotel è sfumato”.
Nel processo con rito abbreviato nato dall’operazione Imponimento, Nicola Monteleone è stato già condannato in primo grado a 20 anni di reclusione al pari di Rocco Anello, mentre Francesco Mallamace è stato condannato a 10 anni e 8 mesi.
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