Imponimento, le armi del clan Anello: dalla Svizzera al supermarket delle cosche
Prosegue l’esame del collaboratore di giustizia Francesco Michienzi. Tra i grossisti Antonio Napoli, già all’ergastolo per l’omicidio di Fabrizio Pioli: fu lui a fornire il kalashnikov per uccidere il boss Raffaele Cracolici
«Di armi noi ci approvvigionavamo da un certo Antonio Napoli di Melicucco, chiamato “cumpari ’Ntoni”. Era uno vicino al clan Molé. Un giorno, nel 2002, diede a me e a Vincenzino Fruci un kalashnikov, che fu usato per l’omicidio di Raffaele Cracolici. Questo Napoli è quello che ha ammazzato quel ragazzo che aveva una relazione con la figlia. In quel periodo era disperato, perché fu ucciso un nero nelle sue campagne, ma lui diceva che non c’entrava, anche se noi lo sospettavamo, ma doveva nasconderne il corpo». Così racconta Francesco Michienzi, la prima gola profonda del clan Anello-Fruci, nella prosecuzione del suo esame al maxiprocesso Imponimento. [Continua in basso]
Michienzi parla di Antonio Napoli, condannato all’ergastolo (unitamente al nipote Francesco) per l’omicidio di Fabrizio Pioli. Fabrizio Pioli fu ucciso il 23 febbraio 2012, poi il suo corpo fu bruciato e nascosto nelle campagne. Anche la stampa internazionale si occupò di quell’agghiacciante caso di cronaca: la vicenda di un ragazzo pulito, Fabrizio, e di una ragazza, Simona, figlia di Antonio Napoli, follemente innamorati; un amore però osteggiato dalla famiglia di lei e poi soffocato nella barbarie mafiosa che non ebbe pietà del ragazzo. Antonio Napoli, in pratica, sarebbe stato – secondo Francesco Michienzi – uno dei principali fornitori del clan di Filadelfia portato alla sbarra dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro.
«All’indomani dell’omicidio di Santo Panzarella – racconta Michienzi – siamo andati ad avvisare anche Antonio Napoli. Siccome lui conosceva Santo, avevamo paura che la mamma di Santo mettesse nei guai anche lui». Il kalashnikov destinato ad essere usato per ammazzare Cracolici, racconta il pentito, «era nuovo. Prima l’ho tenuto io per un po’, poi lo abbiamo affidato a Vincenzo De Nisi, che era un cacciatore, era uno dei nostri e se ne intendeva di armi. Lui lo lubrificò e lo tenne pronto affinché funzionasse quando doveva essere usato». De Nisi sarebbe stato coprotagonista, tra l’altro, pure di una sparatoria alla Tonno Callipo: «Lui era con me in macchina, fui io a sparare ai muri con una 357 magnum».
Tra i grossisti di armi, Michienzi cita anche «Giovanni Iannello» di San Gregorio d’Ippona: «Tra queste ce n’erano alcune con caratteri arabi intagliati a mano, credo provenissero da zone di guerra. Alcune le portai, subito dopo l’omicidio Cracolici, a casa di Domenico Bonavota. Poi una volta, a noi, cioè a me e a Vincenzino Fruci, furono i Bonavota a darci una 357 magnum». La pistola venne poi usata per una serie lunghissima di danneggiamenti, intimidazioni e rapine. Le armi degli Anello giungevano anche dalla Svizzera, tramite un certo «Carmelo» ed un certo «Fiore». «Erano due che noi chiamavamo “i fratelli Masdea”, che portavano pure i “confetti”, cioè le munizioni». Tra il materiale che i Masdea trasportavano in Calabria d’Oltralpe, Michienzi vide «un mitra con il laser, che fu consegnato a Francesco Bova, che custodiva le armi degli Anello, poi cocaina e altre armi». [Continua in basso]
A questo punto, Michienzi spiega come la Svizzera sia storicamente il terminale di un vasto traffico di cocaina organizzato da Rocco Anello tramite una moto. Era droga che il boss dell’Angitolano attingeva dagli Aquino, una delle famiglie della Locride più accreditate nel traffico internazionale di narcotici. Siamo negli anni ’80 – secondo il racconto che il pentito sostiene di aver ricevuto direttamente dal padre dello stesso Rocco Anello – ed allora sarebbe nato il rapporto con i fratelli Masdea. «Era un rapporto speciale quello che i Masdea avevano con Rocco e Tommaso Anello – afferma Michienzi -. Pensate che loro a Rocco e Tommaso Anello davano del tu, mentre noi davamo del voi». Il dichiarante spiega come specie sui traffici di armi, gli Anello – sin dall’inizio del nuovo millennio – fossero divenuti una sorta di supermarket per le cosche del territorio, quelle del Lametino a quelle del Vibonese: «Per l’omicidio Cracolici noi abbiamo messo a disposizione tutte le armi. Non solo il kalashnikov di cui ho detto prima, ma anche i due fucili».
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