Omicidio Piperno a Nicotera, il papà della vittima: «Furono in tre ad uccidere il mio Stefano»
Gregorio Piperno esprime i suoi dubbi sul Riesame presieduto dal giudice Valea (poi sospeso da funzioni e stipendio) e ribadisce le responsabilità del genitore del killer condannato in appello a trent’anni. Ma a piede libero vi sarebbe anche un altro assassino
«Sono il padre di Stefano Piperno, barbaramente ucciso e bruciato nella sua auto il 19 giugno 2018 a Preitoni di Nicotera». Uomo mite, ma coraggioso e tenace, Gregorio Piperno, continua ad invocare giustizia, e soprattutto verità, sulla morte del suo ragazzo, malgrado la Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro abbia condannato a 30 anni di reclusione Ezio Perfidio, riconosciuto anche in secondo grado quale esecutore materiale, mentre a Francesco Perfidio, padre di Ezio, sono stati comminati 6 anni di carcere, accusato del concorso nella distruzione del cadavere ma non dell’omicidio, consumato a colpi d’arma da fuoco, dopo essere stato tramortito con una spranga di legno. [Continua in basso]
Un ragazzo perbene ma fragile
«Stefano era un ragazzo solare, buono, generoso, tanto affettuoso e sensibile, talora ingenuo. Stefano, che da anni soffriva di disturbo bipolare, alternava periodi di euforia a periodi di profonda depressione. Nei periodi di più cupa depressione, purtroppo, pensando di trovare sollievo alle sue sofferenze, ricorreva a sostanze stupefacenti», ricorda papà Gregorio. La vittima, con cadenza pressoché mensile, assieme ai genitori si recava in visita dal professor Alessandro Rotondo, lo psichiatra di Nicastro che lo aveva in cura. Una personalità complessa, quella di Stefano: una famiglia perbene, una vita dedicata allo studio, all’insegnamento e all’impegno per gli altri, ma anche una straordinaria fragilità irretita dalla tossicodipendenza.
Quel giudice sospeso
Non si rassegna alla sentenza, Gregorio Piperno e contesta – punto per punto – un po’ tutto l’iter giudiziario che, già in sede di Riesame della posizione cautelare dei due indagati, ridimensionò le accuse formulate a carico di Francesco Perfidio dalla Procura di Vibo Valentia. Annota, il papà di Stefano, come quel Tribunale fosse presieduto da Giuseppe Valea, ovvero il magistrato nel novembre scorso è stato sospeso dalle funzioni e dallo stipendio da parte della Commissione disciplinare del Csm, in seguito ad un’indagine avviata dalla Procura di Salerno sulle presunte anomalie nella gestione dei ricorsi al Riesame che presiedeva. [Continua in basso]
Il Riesame da… rileggere
Il pronunciamento sulla posizione cautelare dei due indagati per l’omicidio e la distruzione del cadavere del figlio, per Gregorio Piperno, deve essere approfondita. Ricorda, infatti, come il provvedimento del collegio presieduto da Valea fosse pervenuto alla conclusione che, per quanto attiene Francesco Perfidio, «non può, invero, desumersi dal contenuto delle captazioni in atti la sua presenza al momento dello sparo, essendo le sue stesse affermazioni compatibili anche con la circostanza che il figlio gli abbia raccontato l’accaduto». Si chiede Gregorio Piperno: «Quali affermazioni del Perfidio Francesco sono compatibili con la circostanza che il figlio gli abbia raccontato l’accaduto? Il Tribunale non solo non elenca tali affermazioni, ma non ne indica nemmeno una!». Richiama, quindi, il papà di Stefano, tutta una serie di intercettazioni agli atti del processo che, dal suo punto di vista, andrebbero lette in ben altra direzione.
La sentenza d’appello
Anche perché – annota Gregorio Piperno – la Corte d’Assise d’Appello scrive: «Gli imputati in concorso morale e materiale tra loro, Ezio con colpi di arma da fuoco del tipo fucile e Francesco essendo presente e rafforzandone il proposito delittuoso (nei suoi confronti per il delitto di omicidio si procede separatamente), cagionavano la morte di Piperno Stefano». E ancora, la stessa Corte scrive: «L’attribuzione di responsabilità per il reato ad Ezio Perfidio e l’opera di “copertura”, se non di corresponsabilità operata dal padre Francesco (nei cui confronti si procede separatamente per il reato omicidiario) emergono con assoluta chiarezza da una serie convergente di elementi di prova o indiziari raccolti in atti».
«Lo uccisero in tre»
L’analisi degli atti processuali (ed in particolare una intercettazione captata in carcere a Vibo Valentia), induce inoltre il padre della vittima ad ipotizzare che almeno un’altra persona abbia preso parte all’uccisione di Stefano. «Mio figlio – aggiunge – quando verso le 13.30 del 19 giugno 2018, il giorno della sua morte, si è ritirato dal lavoro, ha riferito a noi genitori che il “Carrozza” (cioè Francesco Perfidio) era andato davanti al Cas di Nicotera (dove Stefano insegnava) dicendogli, in tono minaccioso, che assolutamente il pomeriggio di quel giorno doveva presentarsi a casa sua. Stefano non si è recato di sua spontanea volontà in casa dei suoi vigliacchi e barbari assassini, ma è stato tratto in un tranello». E conclude: «Francesco Perfidio deve essere incriminato non solo per concorso morale, bensì, al pari del figlio (e della terza persona intercettata in carcere) come materiale omicida di Stefano».
In merito a quanto sopra, dai familiari dei Perfidio, assistiti dall’avvocato Francesco Sabatino, riceviamo e integralmente pubblichiamo:
“Gentile Direttore,
fino ad oggi abbiamo sempre evitato di replicare agli interventi sulla cronaca da parte della famiglia Piperno nella ferma convinzione che il luogo deputato a celebrare i processi siano le aule di giustizia (anche quelle del Riesame) e non sicuramente le pagine di un giornale che comunque esercita il sacrosanto diritto di cronaca.
Tuttavia di fronte all’ennesimo intervento ( a nostro modesto avviso fuori luogo) riteniamo di dover segnalare alcuni elementi al fine di giungere ad una corretta ricostruzione dei fatti, censurando che qualsiasi parte civile voglia sostituirsi ai pubblici ministeri o peggio ancora ai magistrati giudicanti.
In primis riguardo alla ricostruzione offerta dal Prof. Piperno (anche in precedenti interviste) risulta del tutto infondata l’ipotesi che il di lui figlio sia stato attirato con un tranello, ma al contrario secondo l’ipotesi del p.m. (che abbiamo sempre contestato) Stefano Piperno si sarebbe recato presso la nostra abitazione in maniera insistente a tal punto da indurre i genitori a chiedere l’aiuto di Emanuele Mancuso (oggi collaboratore di giustizia che ha reso dichiarazioni sul punto). Dunque auspichiamo che i familiari vogliano leggere per intero l’incarto processuale, comprese circostanze che sicuramente possono essere poco gradite. Anche con riferimento al provvedimento del Riesame (nel quale ad avviso del prof. Piperno non sarebbero nemmeno indicate le conversazioni di interesse) basta andare alle pagg. 12 e 18 forse a lui mancanti!
Quanto alle diverse fasi del processo, non sta a noi valutare la posizione del Dott. Giuseppe Valea, citato nell’articolo dal prof. Piperno, ma occorre ricordare a tutti che il Riesame dell’epoca, pur ridimensionando le accuse nei confronti del Perfidio Francesco, abbia per questi confermato il carcere.
Da quel momento in poi un gip del Tribunale di Vibo Valentia in data 31 luglio 2019 ha concesso i domiciliari a Perfidio Francesco, misura poi ulteriormente revocata; in seguito l’Ufficio di Procura ha richiesto l’archiviazione per la predetta posizione.
A questo punto ci domandiamo: tutti i Giudici che non danno ragione al prof. Piperno sono corrotti? A voler approfondire la questione anche altri giudici sono stati interessati dalla Procura di Salerno, ma fino ad oggi e ancora fino all’esito definitivo continueremo ad avere fiducia nella giustizia, auspicando che ogni aspetto di questa vicenda venga chiarita”.
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