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Rinascita Scott: il negozio degli Artusa a Vibo, fra locazioni estorte e l’intervento dei boss

Ancora un investigatore del Ros in aula per ricostruire una delle vicende al centro del maxiprocesso. Le “manovre” dei due fratelli per riaprire l’attività commerciale, i contrasti con i Piscopisani ed i ruoli del gioielliere Tedeschi, di Giamborino, Ferrante, La Malfa, Gallone e Razionale all’ombra di Luigi Mancuso

Rinascita Scott: il negozio degli Artusa a Vibo, fra locazioni estorte e l’intervento dei boss
Corso Vittorio Emanuele III a Vibo Valentia
Mario Artusa

I fratelli Mario e Maurizio Artusa al centro dell’ultima udienza di Rinascita Scott dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia dove nell’aula bunker di Lamezia Terme ha deposto Vincenzo Franco, maresciallo dei carabinieri del Ros. Un esame condotto dal pm della Dda di Catanzaro, Andrea Mancuso, nel quale è stato delineato il ruolo di diversi imputati. Al centro dell’udienza i tentativi di estorsione (in alcuni casi consumata) che sarebbero stati messi in atto dai fratelli Artusa per riottenere la locazione degli immobili dove avevano sede le loro attività commerciali. La prima ipotesi delittuosa e la relativa attività di indagine spiegata in aula vede imputati per estorsione i vibonesi Maurizio Artusa, 53 anni, Mario Artusa, 55 anni, Gianfranco Ferrante, 57 anni, Emanuele La Malfa, 34 anni, di Limbadi, Vittorio Tedeschi, 78 anni, gioielliere di Vibo Valentia. Il teste ha spiegato in aula che i primi quattro avrebbero contattato il gioielliere Vittorio Tedeschi affinché si facesse latore delle loro pretese estorsive da riferire, tramite Vincenzo Brancia (non indagato ed amministratore dei beni della famiglia De Riso Paparo), alla titolare dell’immobile sito a Vibo Valentia su corso Vittorio Emanuele III n. 14, di proprietà della famiglia De Riso Paparo.  [Continua in basso]

Luigi Mancuso

I soggetti imputati, ed interessati alla locazione dell’immobile per le attività commerciali degli Artusa, avrebbero quindi evocato i loro collegamenti con il boss di Limbadi Luigi Mancuso e nella vicenda si sarebbe intromesso anche Pasquale Gallone (indicato come il braccio-destro di Luigi Mancuso). Il tentativo sarebbe stato quello di costringere la nobildonna Anna De Riso Paparo non solo a stipulare un contratto di locazione da lei non voluto, ma anche a subire condizioni contrattuali deteriori rispetto a quelle da loro richieste (da 1.500 a mille euro) e, inoltre, peggiori rispetto a quelle offerte da altri potenziali contraenti. Il tentativo di estorsione (siamo nel novembre del 2015) non si è poi verificato per la mancata presentazione, da parte dei fratelli Artusa, della fideiussione richiesta dai locatori.

Maurizio e Mario Artusa, Gianfranco Ferrante ed Emanuele La Malfa avrebbero così tentato di convincere Brancia a locare l’immobile di proprietà della nobildonna Anna De Riso Paparo, sito a Vibo su corso via Vittorio Emanuele III, n. 14 nel quale gli Artusa avevano intenzione di allestire il proprio negozio di abbigliamento.

In tale contesto, l’investigatore del Ros ha collocato una conversazione intercettata, ritenuta “di elevato interesse probatorio”, avvenuta tra Maurizio Artusa e Antonio Altomonte (quest’ultimo non indagato) e “locatario – ha spiegato il maresciallo in aula – di un altro immobile ubicato sempre su corso Vittorio Emanuele ed amministrato da Vincenzo Brancia.  Proprio Antonio Altomonte – ha continuato il teste – al fine di aggirare la resistenza di Brancia nel fittare l’immobile ai fratelli Artusa, ricordava di aver proposto a Mario Artusa la cessione di un ramo della sua azienda, così da permettere agli Artusa di entrare, senza grossi problemi, in possesso dell’immobile ove avviare l’attività commerciale. Tale soluzione tuttavia non si è poi concretizzata”. [Continua in basso]

Maurizio Artusa

Quindi Maurizio Artusa avrebbe manifestato il reale motivo per il quale aveva desistito dal costringere apertamente Vincenzo Brancia a fittare il locale, ovvero il timore che quest’ultimo, sentitosi minacciato, si recasse a denunciarli, creandogli ulteriori problemi in un momento già difficile (Nelle intercettazioni di legge: “…questo è un cornuto … questo è cornuto… questo sai come scappa alla Polizia se uno gli butta due schiaffi che io non gliel’ho dati mai proprio per questo … altrimenti se era veramente un uomo con i coglioni di sotto, glieli buttavo veramente due schiaffi…che uno di questi è capace che ti rovina …”). Tuttavia lo stesso Artusa non nascondeva il suo proposito di ritorsioni future tanto che nelle intercettazioni si legge: “… Questo pezzo di merda, io in qualche modo gliela devo fare pagare….”

Il ruolo di Ferrante e di La Malfa

Gianfranco Ferrante

Il 13 aprile 2016 era quindi Gianfranco Ferrante a richiamare Brancia scusandosi per il mancato appuntamento del giorno prima fissando un appuntamento per il giorno seguente. In data 14 aprile 2016 veniva poi captata altra conversazione ambientale tra Ferrante, Brancia ed Emanuele La Malfa dalla quale “si evince chiaramente che Vincenzo Brancia nutriva “rispetto” sia verso Ferrante che verso La Malfa, ma ribadiva che il problema per fittare il locale agli Artusa risiedeva nella fidejussione”. [Continua in basso]

Giamborino e Gallone sugli Artusa

Giovanni Giamborino

L’atteggiamento intimidatorio assunto dai fratelli Artusa nei confronti di Brancia, secondo l’investigatore ascoltato in aula, trovava ulteriore conferma in un’intercettazione ambientale del 29 settembre 2016 all’interno di un’autovettura tra Giovanni Giamborino di Piscopio (fra i principali imputati del maxiprocesso) e Pasquale Gallone. Gli occupanti, dopo aver ampiamente discusso delle problematiche connesse all’atteggiamento dei fratelli Artusa inerenti alla locazione di altro immobile ubicato a Lamezia Terme, si preoccupavano delle probabili conseguenze giudiziarie (“…Qualche associazione prendiamo…”) che sarebbero scaturite qualora Brancia avesse denunciato gli Artusa, per via della loro condotta vessatoria e intimidatoria.

Infatti gli stessi, non essendo riusciti a persuadere Brancia e non avendo insistito ulteriormente per il timore di una sua denuncia per estorsione, “mettevano in atto una serie di condotte estorsive nei confronti dei potenziali affittuari/acquirenti dell’immobile in questione, al fine di rientrarne in possesso”.

Il contrasto fra gli Artusa ed i Piscopisani

Rosario Fiorillo

Dalle risultanze investigative è emerso quindi che intorno all’immobile in questione – ubicato su corso Vittorio Emanuele III a Vibo – è poi sorto un altro acceso contrasto tra i fratelli Artusa e Marco Fiorillo (non indagato), quest’ultimo fratello del più noto Rosario Fiorillo, alias “Pulcino”, ritenuto al vertice del clan dei Piscopisani.

Altra estorsione per lo stesso immobile viene infatti contestata ai due Artusa ed al presunto boss di San Gregorio d’Ippona, Saverio Razionale, anche nei confronti di Marco Fiorillo che nell’agosto del 2016 aveva ottenuto la disponibilità dell’immobile attiguo e stava effettuando dei lavori nella sua “Fiorillo Boutique”.  Tale unità locale ubicata al civico n. 20/22, un tempo – ed esattamente fino al 4 giugno 2010 – era sede di un altro negozio con insegna “Artusa”, riconducibile alla società Modart s.r.l., dei fratelli Artusa.

E’ emerso così che la presenza di Marco Fiorillo (parte offesa in Rinascita Scott) all’interno dell’immobile in questione, oggetto di contesa, era giustificata in virtù di un “accordo” pregresso sancito proprio con gli stessi Artusa, alla presenza di Saverio Razionale e di Rosario Fiorillo (alias “Pulcino”, fratello di Marco), circa due anni prima e, comunque, poco prima dell’arresto di Razionale avvenuto il 6 gennaio 2015. Accordo in base al quale Marco Fiorillo, in attesa che gli Artusa risolvessero i propri problemi giudiziari ed economici, avrebbe occupato l’intero immobile, utilizzandolo come magazzino, continuando a pagare l’affitto a Vincenzo Brancia, per poi nuovamente far subentrare nel contratto i fratelli Artusa, previa restituzione da parte loro dei canoni di locazione nel frattempo pagati da Marco Fiorillo  ai proprietari dell’immobile in questione (ubicato al civico 14 di via Vittorio Emanuele III), ovvero i De Riso Paparo.

L’interessamento di Razionale

Saverio Razionale

Non versando i fratelli Artusa alcuna somma di denaro (anche perché Brancia non era intenzionato a stipulare con loro alcun contratto di fitto), Marco Fiorillo iniziava ad aprile 2016 i lavori di ristrutturazione con la chiara intenzione di allargare la propria attività commerciale di vendita di abbigliamento, già attiva nel locale adiacente, ubicato al civico 20/22. Iniziavano pertanto i contrasti fra gli Artusa e Marco Fiorillo e la questione sarebbe stata portata all’attenzione di Saverio Razionale attraverso la “mediazione” di Giovanni Giamborino e l’interessamento di Pino Galati, cugino di Giamborino, e ritenuto il capo-società del locale di ‘ndrangheta di Piscopio.
L’investigatore in aula ha quindi ricordato che dall’attività di indagine è emersa “l’esistenza di un rapporto stabile e duraturo che lega il gioielliere Vittorio Tedeschi al boss Luigi Mancuso” e da un’attività intercettiva è emerso anche il racconto fatto da Giovanni Giamborino al cugino Pino Galati in ordine al presunto intervento anche di Vittorio Tedeschi, quale longa manus di Luigi Mancuso, per indurre Brancia a stipulare il contratto di affitto con gli Artusa”.

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