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Comune di Limbadi: il Tar conferma lo scioglimento per infiltrazioni mafiose

Per i giudici amministrativi è legittimo e corretto il commissariamento degli organi elettivi dell’ente deciso dopo la relazione della Commissione di accesso agli atti nominata dalla Prefettura di Vibo

Comune di Limbadi: il Tar conferma lo scioglimento per infiltrazioni mafiose

E’ legittimo il decreto con il quale nell’aprile dello scorso anno è stato disposto lo scioglimento del Consiglio comunale di Limbadi per infiltrazioni mafiose. E’ quanto deciso dal Tar del Lazio con una sentenza con la quale ha respinto il ricorso proposto dall’ex sindaco Giuseppe Morello e dai componenti della sua giunta comunale, difesi dall’avvocato Oreste Morcavallo. Dopo aver illustrato in sentenza la normativa di settore, esaminando i fatti su cui si è basato il provvedimento contestato, il Tar ha ritenuto che “effettivamente, in alcuni settori l’attività e l’inattività dell’amministrazione è servita per avvantaggiare imprese o famiglie in relazione alle quali sussistono concreti elementi per affermare che sono vicini alla locale cosca di ‘ndrangheta” dei Mancuso. Per i giudici amministrativi, nel caso del Comune di Limbadi si è in presenza di un anomalo ricorso da parte dell’amministrazione comunale di “affidamenti diretti, cottimi fiduciari e di somma urgenza”, con modalità di affidamento in relazione alle quali la Commissione di accesso agli atti ha affermato “essere idonee a favorire imprese e professionisti vicini alle consorterie criminali, ed essere inoltre connotate da anomalie di vario tipo.   [Continua dopo la pubblicità]

La Commissione prefettizia, ad esempio, ha individuato 25 affidamenti diretti ed in base agli elementi raccolti nel corso di un’indagine penale, questi avrebbe consegnato ad uno degli esponenti dei clan una busta contenente del denaro proveniente da un imprenditore vittima di estorsione. Imprenditore che, peraltro, è stato destinatario di misure di prevenzione in quanto ritenuto colluso con le cosche operanti sul territorio. In particolare oggetto di sequestro in prevenzione è stato il 33% delle quote di una società in passato consigliere di minoranza nella compagine guidata dal sindaco Morello. Proprio sugli affidamenti diretti di alcuni lavori si concentra la sentenza del Tar anche se non sempre è stato possibile risalire ai soggetti dell’amministrazione che avrebbero introdotto e favorito determinate imprese. “Conclusivamente si deve dire che quelle che la Commissione segnala come anomalìe negli affidamenti, non sempre possono considerarsi significative, sia per la ragione che si tratta di affidamenti ripetuti ma il cui importo complessivo rimane, pur sempre, al di sotto della soglia di applicazione del codice degli appalti, sia perché non si comprende quale possa essere stato il vantaggio procurato alla criminalità organizzata. Tuttavia – spiega il Tar in sentenza – tale collegamento, tra la ditta affidataria dei lavori e la criminalità organizzata, è in alcuni casi apprezzabile, e quindi si può presumere che l’assenza di procedure ad evidenza pubblica, adottata sistematicamente, pur di per sé non necessariamente illecita, possa essere stata adottata in funzione di agevolare alcuni imprenditori vicini alle cosche della ‘ndrangheta”. 

La relazione si sofferma poi su una ditta attiva nella distribuzione dei pasti per il servizio mensa raggiunta da interdittiva antimafia e su varie anomalie nella gara d’appalto, così come sulla vicenda relativa all’appalto per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani nel biennio 2015-2017 con la ditta che si sarebbe avvalsa di mezzi di altra ditta raggiunta da interdittiva antimafia. “Il responsabile dell’Area tecnica – rimarca il Tar – non ha fatto nulla per sincerarsi della proprietà ed adeguatezza dei mezzi in uso alla società appaltatrice e non è neppure stato richiesto alla medesima di risolvere l’eventuale contratto di subappalto o avvalimento in ragione della sopravvenuta interdittiva antimafia. Oltre a ciò la gara per il rinnovo del servizio, successivamente alla scadenza del 31 marzo 2017, è stata immotivatamente ritardata, sicché il servizio è stato semplicemente prorogato al gestore uscente per ulteriori sei mesi”. Il Tar spiega poi che “nessuno tra gli amministratori ed i dipendenti risulta essere implicato in procedimenti penali che abbiano ad oggetto indagini per associazione mafiosa. Inoltre gli elementi che vengono riferiti circa possibili contatti o collusione con l’ambiente delle cosche mafiose, essendo per lo più consistenti in rapporti di parentela, spesso neppure prossima, o da frequentazioni comprovate da controlli occasionali, non è di univoca interpretazione, dal momento che questi ultimi, come la parentela, in sé non sono sufficienti a provare la collusione o la condivisione di intenti”. Un elemento “maggiormente significativo” viene segnalato con riferimento all’assessore Domenica Gurzì la quale, oltre che essere pronipote di un pluripregiudicato ritenuto affiliato ai clan ed arrestato per associazione mafiosa, nel 2011 è stata intercettata “mentre chiedeva appoggio elettorale ad un membro della famiglia Mancuso (Pantaleone Mancuso, detto “Vetrinetta”) presso la cui abitazione si era recata: ciò è effettivamente indicativo – scrivono i giudici amministrativi – della sussistenza di un certo grado di confidenza, nonché della disponibilità, della medesima, a correre il rischio di dover rendere favori in cambio di appoggio elettorale”. 

Altra consigliera comunale ha invece “precedenti per atti persecutori, violenza privata, violazione di domicilio, ed è attualmente indagata per falso in relazione ad una delibera a suo tempo da lei firmata in qualità di assessore, nel corso di una precedente amministrazione, con la quale era stato assunto il responsabile dell’ufficio ragioneria. Quest’ultimo in passato – evidenzia il Tar – ha lavorato per 15 anni in una società i cui soci sono entrambi gravati da precedenti per il reato di associazione mafiosa: nella sua qualità è responsabile della regolarità contabile degli atti e dei pagamenti e quindi potrebbe aver giocato un ruolo, favorendo i numerosi affidamenti diretti di cui sopra si è dato conto, in relazione ai quali, secondo la Commissione molti pagamenti sarebbero stati effettuati benché non sostenuti da documentazione adeguata (ad esempio: il solo preventivo della impresa, anziché la quantificazione della spesa da parte del responsabile di Area)”. Sono poi “riscontrabili – secondo i giudici amministrativi – alcune situazioni di asservimento del Comune agli interessi della criminalità organizzata, che oggettivamente presentano collegamenti con il sindaco Morello, un assessore ed una consigliera comunale”. In conclusione, secondo il Tar “si deve riconoscere che la vicenda dell’appalto mensa, più altre vicende ed anche la diffusa presenza di abusivismo idrico, evidenziano la propensione del sindaco e di altri ex amministratori a non voler realmente ostacolare, se non addirittura a favorire, gli interessi di soggetti vicini alla criminalità organizzata”.

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