Processo autobomba a rilento, la rabbia e il coraggio di Sara Scarpulla – Video
Se il procedimento non si avvierà entro i termini previsti, i presunti responsabili torneranno in libertà. Mentre l’avvocato De Pace scrive al ministro Bonafede per denunciare i “freni azionati da mani colluse”, la madre di Matteo afferma con determinazione: «Non ho paura ma voglio giustizia»
«Combatterò finché avrò vita. E continuerò a chiedere giustizia per Matteo». Sara Scarpulla è una donna piegata da un dolore immane. L’esplosione che il 9 aprile del 2018 ha cancellato con un tuono sinistro i 42 anni di suo figlio, Matteo Vinci, le ha lasciato un solco profondo nell’anima. Ma le ha dato, al tempo stesso, una forza e una determinazione delle quali non si credeva capace. La sua vita e quella di Ciccio, suo marito, che ancora porta sul corpo i segni dell’esplosione dell’auto sulla quale viaggiava con Matteo, hanno subito una svolta irreversibile. Ora il loro unico scopo è quello di ottenere giustizia e restituire dignità a quella morte, così impressionante quanto inspiegabile. Dalla loro parte si è ormai schierata una fitta rete solidale – «la mia scorta civica» la definisce Sara – ma quel percorso verso la definizione di una verità processuale è minato da diversi intoppi. Gli stessi che il combattivo avvocato Giuseppe De Pace, che ha sposato l’anelito di giustizia della famiglia Vinci fin dal principio, ha messo nero su bianco in un accorato appello al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, in una lettera in cui parla senza mezzi termini di “freni azionati da mani colluse con la cosca mafiosa e annidate presso uffici strategici” esortando il guardasigilli ad intervenire perché “qui si gioca la faccia e la reputazione, sua e della Repubblica“.
In evidenza tra quelle righe soprattutto il difetto di notifica del decreto di fissazione dell’udienza preliminare all’imputata Lucia Di Grillo, ritenuta dagli investigatori tra i responsabili dell’esplosione dell’ordigno piazzato sulla Ford Fiesta dei Vinci saltata in area quel maledetto 9 aprile, insieme ai genitori Domenico Di Grillo e Rosaria Mancuso, al marito Vito Barbara e alla sorella Rosina Di Grillo. Un “freno” sul quale la stessa Sara Scarpulla adombra pesanti responsabilità. «Sento puzza d’imbroglio – dice nel corso dell’intervista rilasciata a Il Vibonese -, può un semplice difetto di notifica far saltare l’avvio di un processo così importante? C’è qualcosa che non va perché ai detenuti l’avviso è stato notificato in tempo mentre le altri parti in causa, tra le quali io e mio marito, l’abbiamo ricevuta in ritardo».
Se la nuova notifica non dovesse avvenire entro l’11 giugno e il processo dovesse subire un ulteriore rinvio, per gli imputati allo stato detenuti le porte del carcere si riapriranno allo scadere dei termini della custodia cautelare, vale a dire il 26 giugno. Una circostanza che crea non poca agitazione in Sara: «Io non ho paura di loro – spiega -, ne ho più per mio marito, che ora è molto debilitato e non è più nelle condizioni di difendersi. La cosa che più mi sconforta, però, è il fatto che stare dalla parte della giustizia a volte fa venire pentimenti. Quell’appello dei magistrati a dire “venite, parlate, denunciate” che senso ha? Come si può chiedere ad una popolazione intimorita da queste canaglie di parlare, se poi la giustizia va a rotoli e se non ci sentiamo protetti?».
L’ipotesi del rilascio dei Di Grillo-Mancuso ha portato Sara anche ad inscenare una forte protesta occupando la Stazione dei Carabinieri di Limbadi. «Non mi fermerò – aggiunge mentre i suoi occhi si fanno lucidi -. La forza di andare avanti me la dà proprio Matteo. La sua vita non può e non deve essere chiusa solo in quella bara. La sua vita deve essere manifesta a tutti, perché era un ragazzo eccezionale. Avrei preferito che questa sorte fosse toccata a noi e non a lui, invece dobbiamo piangere la sua assenza e quello che ha ricevuto. Ma con tutte le mie forze continuerò a chiedere giustizia e mi auguro che il procuratore Gratteri ci dia un aiuto in questa battaglia. Anche lui però dovrebbe guardarsi da chi lo circonda, perché non tutti gli sono leali. Negli anni ne ho subite tante, ho assistito sempre a ritardi che hanno rallentato il corso della giustizia. E ora che sto entrando più a fondo in questi meccanismi – conclude amaramente – ho capito che il ritardo di una notifica o altri vizi di forma non sono sempre frutto del caso, ma che spesso siamo di fronte a tecniche precise messe in atto in malafede». GUARDA IL VIDEO DELL’INTERVISTA INTEGRALE A SARA SCARPULLA:
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