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L’agguato a Signoretta e gli equilibri nel sottobosco della malavita vibonese – Video

L’agguato ad uno degli uomini d’azione dei Mancuso, non un tipo qualunque. Le accuse dei pentiti e il suo nome che affiora nelle indagini sull’offensiva contro i Piscopisani e sulla mattanza dei narcos

L’agguato a Signoretta e gli equilibri nel sottobosco della malavita vibonese – Video

Domenic Signoretta, l’uomo scampato all’agguato di domenica sera, nella frazione Nao di Ionadi, non è uno qualunque. Armiere, implicato in grossi traffici di stupefacenti – soprattutto ritenuto dagli inquirenti un azionista della cosiddetta “falange dei nipoti” del clan Mancuso – è il fiduciario del boss Pantaleone Mancuso, detto “Luni” l’Ingegnere, ovvero il fratello di Peppe, Diego e Francesco, tutti figli di Domenico, appartenente alla dinastia degli undici sulla quale si fonda il blasone criminale del casato di Limbadi. Questo emerge dalle carte giudiziarie. «Ricordati ‘sto nome…», avrebbe detto – racconta  il collaboratore di giustizia Raffaele Moscato – Rosario Battaglia, esponente apicale del clan dei Piscopisani, che attribuiva proprio a Domenic Signoretta il suo tentativo di omicidio. Correva il 31 maggio del 2010 e un sicario, a bordo di una moto e col volto coperto da un casco, arrivò fino al bar di Piscopio e ferì a colpi di pistola Giovanni Battaglia. Gli inquirenti – così come gli stessi Piscopisani – ritennero subito che il vero bersaglio fosse invece il fratello, Rosario, e che quell’agguato andasse inquadrato come la risposta all’omicidio di Michele Palumbo, ucciso nel marzo del 2010 nella frazione Longobardi di Vibo, ritenuto dagli inquirenti il luogotenente del boss Pantaleone “Luni” Scarpuni che in quella fase – riferiscono i pentiti – aveva rinsaldato l’alleanza con il cugino “Luni” l’Ingegnere.  [Continua dopo la pubblicità] 

Signoretta, peraltro, secondo un altro pentito, Arcangelo Furfaro di Gioia Tauro, sarebbe coinvolto anche nell’agguato che il 17 giugno del 2011 costò la vita a Domenico Campisi, il narcotrafficante di Nicotera la cui morte rientrava in una sorta di politica di sterminio dei broker vibonesi della droga che avevano iniziato a fare affari con troppa autonomia: Vincenzo Barbieri, assassinato il precedente 12 marzo 2011 a San Calogero; Cosma Congiusti, l’8 novembre del 2010, a Nicotera. Una scia preceduta dalla scomparsa per lupara bianca di Salvatore Drommi, autista di Domenico Campisi, i cui figli – Antonio Campisi e Nicola Drommi – avrebbero poi stretto contatti con il clan dei Piscopisani.

“Domenic Signoretta è la persona di maggior fiducia di Luni Mancuso l’Ingegnere – ha fatto mettere a verbale Furfaro -, è un killer di Luni Mancuso e non fa nulla senza il suo ordine o assenso. Domenic Signoretta mi disse che aveva commesso otto omicidi e fra questi insieme a Peppe Mancuso, figlio di Pantaleone l’Ingegnere, ha commesso l’omicidio di Domenico Campisi”. I killer nell’occasione risparmiarono volutamente nell’occasione chi si trovava sull’auto accanto a Campisi, cioè Benedetto Buccafusca, congiunto di Santa Buccafusca, moglie di Pantaleone Mancuso, detto Scarpuni”, che dal 2011 – secondo i pentiti – avrebbe fatto pace e stretto un solido legame con l’omonimo cugino Luni l’Ingegnere. Alla base dell’omicidio di Domenico Campisi ci sarebbe stata la consegna nel primo semestre 2011 ad un esponente del clan Molè di Gioia Tauro di alcuni chili di cocaina non purissima. Allo stesso tempo Campisi, a detta del pentito Furfaro, mentre riforniva di cocaina uomini del clan Molè avrebbe negato al gruppo di Pantaleone Mancuso, alias l’ “Ingegnere”, e proprio a Domenic Signoretta di detenere cocaina. Da qui la decisione di eliminarlo. Sarebbe stato Signoretta a spiegare a Furfaro di aver raccontato al boss Pantaleone Mancuso l’ “Ingegnere” degli affari nascosti di Campisi, con lo stesso Signoretta che avrebbe anticipato al futuro collaboratore di giustizia che “da lì a qualche giorno Domenico Campisi sarebbe stato ucciso”. Accuse – quelle del pentito Furfaro – che però, pur rese nel 2015 non hanno sinora portato ad alcuna contestazione per l’omicidio di Domenico Campisi che rimane così, allo stato, impunito.

In una provincia in cui sangue chiama sangue e le vendette spesso si consumano a distanza di lustri, il tentativo di omicidio di Domenic Signoretta rappresenta un segnale preoccupante, di recrudescenza della violenza in una fase in cui sia un casato storico come quello dei Mancuso, sia i clan antagonisti – i Piscopisani, i Bonavota, gli Emanuele – vengono pesantemente colpiti dall’offensiva scatenata dalla Procura distrettuale guidata da Nicola Gratteri e dalle forze dell’ordine.

Peraltro, l’agguato a Signoretta si consuma a poche settimane dalla scomparsa di Bartolomeo Arena e Francesco Antonio Pardea da Vibo Valentia. Una fuga volontaria o un altro gravissimo caso di lupara bianca? In ogni caso un episodio sintomatico che qualcosa di serio a livello di dinamiche criminali si sta muovendo in una provincia che tarda a ritrovare una pace civile.

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