‘Ndrangheta: la cassaforte del clan dei Piscopisani nascosta nella cameretta di Rosario Fiorillo
I proventi illeciti, secondo l’inchiesta “Rimpiazzo” e le dichiarazioni del pentito Moscato, arrivavano anche da attività commerciali gestiste direttamente dalla cosca
A disposizione del clan dei Piscopisani ci sarebbe stata una “bacinella” ovvero una vera e propria cassaforte dove far confluire i proventi illeciti. E’ quanto emerge dall’operazione antimafia “Rimpiazzo”, che ha colpito il clan attivo nella frazione Piscopio di Vibo Valentia ed a Vibo Marina, che svela particolari del tutto inediti sulle modalità operative della cosca. Nel parla a lungo con gli inquirenti il collaboratore di giustizia, Raffaele Moscato, che nel clan aveva raggiunto la dote del “vangelo” e, quindi, a conoscenza dei segreti più importanti della consorteria mafiosa di appartenenza. La cassaforte era stata collocata dai Piscopisani direttamente nella stanza da letto di Rosario Fiorillo, 30 anni, detto “Pulcino” uno dei vertici del clan insieme al cugino Rosario Battaglia, 35 anni, entrambi di Piscopio ed entrambi condannati in primo grado all’ergastolo per l’omicidio del boss di Stefanaconi, Fortunato Patania, ucciso nella sua Stazione di carburanti nel settembre del 2011. Custode della “bacinella” del clan, Rosario Fiorillo – stando al racconto di Moscato – avrebbe annotato tutta la contabilità su dei blocknotes custoditi in una cassaforte a muro, installata nella cameretta del suo appartamento, ubicato in via Fiume in Piscopio. Tutto ciò era dovuto anche al fatto che il reale “contabile” del clan, ovvero il cugino Michele Fiorillo, alias “Zarrillo”, si trovava all’epoca detenuto per associazione mafiosa nell’ambito dell’inchiesta “Crimine” della Dda di Reggio Calabria. “Rosario Fiorillo – spiega il collaboratore Moscato – teneva tutti i conti della sostanza stupefacente a casa sua nella sua cameretta di Via Fiume. Una stanza piccola dove però c’è un quadro e dietro al quadro c’è una cassaforte. Lì erano custoditi dei block-notes con i soldi che dovevamo ricevere, tutti i soldi che avevamo messo, tutti i soldi che avevamo speso, tutti i soldi che erano entrati e che erano usciti. Era tutto quanto segnato perché Rosario Fiorillo doveva dare anche giustificazione a Michele Fiorillo quando sarebbe uscito dal carcere”.
I principali profitti dell’attività delittuosa posta in essere dai Piscopisani, secondo Moscato derivavano dalle condotte estorsive, dalle rapine e dalla gestione del narcotraffico, ma anche dalla “gestione di alcune attività commerciali che gli associati gestivano in prima persona”. Il riferimento, secondo gli inquirenti, è: all’ American Bar, ubicato in piazza Municipio a Vibo Valentia, gestito, in prima persona, da Giovanni Battaglia, fratello di Rosario, e pure lui arrestato nell’operazione “Rimpiazzo”. Quanto a tale esercizio commerciale (l’intestazione fittizia del quale viene contestata con l’inchiesta), il collaboratore di giustizia Raffaele Moscato riferiva che i guadagni che da esso derivavano finivano per “le spese dei carcerati”; quindi il riferimento al ristorante- pub denominato Pequod, sito a Vibo Valentia su Corso Vittorio Emanuele Ill, numero 261, anche questo gestito, in prima persona, da Giovanni Battaglia; poi il riferimento “al gommista sito a Vena di Jonadi, riconducibile a Nazzareno Fiorillo ed al figlio Michele Fiorillo”; il riferimento al bar “Dolce vita” ubicato a Vibo Valentia in viale Affaccio gestito da una società da Pino Galati di Piscopio, arrestato quale “capo società” del “locale” di ‘ndrangheta di Piscopio e già condannato per associazione mafiosa nel processo “Crimine”; infine il riferimento al bar sito a Piscopio in piazza San Michele e gestito da Giovanni Battaglia. Per quanto riguarda la cassaforte del clan, effettivamente la polizia giudiziaria in data 5 aprile 2017, a seguito di una perquisizione domiciliare, constatava che nel luogo indicato da Moscato, occultata da un quadro, vi era una cassaforte. Il collaboratore, inoltre, ha raccontato di una sorta di “mutuo soccorso” che interveniva quando l’organizzazione era a corto di contanti e bisognava comunque concludere affari riguardanti l’acquisto di stupefacenti. In tale caso veniva finanziata, fra gli altri, da Salvatore Tripodi di Portosalvo (non indagato) e da Nazzareno Fiorillo (arrestato quale capo del “locale” di Piscopio) con il denaro provento di estorsioni. LEGGI ANCHE: Il narcotraffico del clan dei Piscopisani fra cocaina, hashish e marijuana
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