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Rinascita Scott: Michele Camillò ed i misfatti dei clan fra Vibo, Zungri e Filandari

Le provocazioni di Mommo Macrì su facebook con le foto dei pampers, l’autobomba preparata da Leone Soriano contro Giuseppe Accorinti, le doti degli affiliati vibonesi, gli scontri e tutti i riconoscimenti fotografici

Rinascita Scott: Michele Camillò ed i misfatti dei clan fra Vibo, Zungri e Filandari
Nel riquadro Michele Camillò
Domenico Macrì

Risse continue a Vibo Valentia e poi il ruolo di diversi imputati, e non solo, all’interno della ‘ndrangheta. La deposizione del collaboratore di giustizia, Michele Camillò, va avanti e tanti sono gli episodi raccontati deponendo nel maxiprocesso Rinascita Scott. “Mommo Macrì era l’unico del nostro gruppo ad andare d’accordo con il boss di Zungri, Peppone Accorinti, ed a frequentarlo. Al tempo stesso, per creare dei contrasti anche dopo la pace stipulata fra i vibonesi e i Barbieri nipoti di Accorinti, Mommo Macrì si inventò che lo stesso boss voleva uccidere Bartolomeo Arena e Francesco Antonio Pardea. Nel frattempo – ha spiegato il collaboratore di giustizia – era scoppiata un’altra rissa in un locale vicino lo svincolo autostradale di Sant’Onofrio dove si ballava. Una sera erano presenti nel locale Domenico Camillò, Alessandro Tomaino, Francesco Vonazzo, Luigi Federici e Daniele La Grotteria che stavano ballando. Nella pista c’era però pure Michelangelo Barbieri di Pannaconi che si era messo a tirare ghiaccio nei confronti dei presenti nel locale e così scoppiò una nuova rissa”. Mommo Macrì per provocare i Barbieri avrebbe poi pubblicato sul proprio profilo facebook delle foto raffiguranti pannolini Pampers per far intendere che “Peppe Barbieri aveva paura di salire da Pannaconi a Vibo”. [Continua in basso]

In altra occasione, invece, a portare via da una rissa Domenico Camillò e Luigi Federici sarebbe stato lo stesso Michele Camillò. Mio nipote Domenico era però così adirato che voleva raggiungere la persona con la quale aveva litigato anche dentro l’ospedale per picchiarlo. Scappò infatti dalla mia auto, entrò dentro l’ospedale e solo con molta fatica – ha sostenuto il collaboratore – sono riuscito a riportarlo a casa. Il giorno dopo il padre del ragazzo pestato si recò a casa del padre di Federici e pretendeva le scuse per quanto era successo”. [Continua in basso]

Rispondendo alle domande del pm, Antonio De Bernardo, Michele Camillò ha raccontato poi un ulteriore episodio. Mio nipote Domenico Camillò aveva investito con l’auto una persona, un professionista, ed era nata una lite. Questa persona chiamò la polizia. Siccome Mariano Macrì lavorava allo Sporting club di Vibo dove c’era anche il professionista che aveva avuto la lite con Domenico Camillò, sentì che tale persona aveva denunciato mio nipote. Mariano Macrì – ha ricordato il collaboratore – è così venuto a raccontarci la cosa e noi ci siamo mossi per vedere come fare per far ritirare la denuncia a questa persona”.

Giuseppe Accorinti

Ancora contrasti fra i vibonesi e ragazzi di Vena e Pannaconi. Ed ancora una volta viene tirato in ballo Francesco Barbieri, il giovane ora in carcere per la sparatoria di sabato scorso ai danni di Domenico Catania. “Mio nipote Domenico Camillò riforniva di droga Peppe Ionadi che appartiene ad una famiglia che lavora con la spazzatura a Vibo e sono dei nostri conoscenti. In precedenza – ha ricordato Michele Camillò – c’era stata una lite nel corso della quale i Ionadi avevano picchiato mio nipote Domenico Camillò e Luigi Federici. Un’altra volta, invece, Domenico Tomaino aveva litigato con il figlio di Mimmo Cichello ed in tale occasione Giuseppe Ionadi, che frequentava Francesco Barbieri nipote di Peppone Accorinti, prese le difese di Cichello. Peppone Accorinti appena incontrò Domenico Tomaino, detto Il Lupo, gli diede uno schiaffo e Mommo Macrì voleva dare appoggio a Domenico Tomaino per vendicarsi, solo che Tomaino si tirò indietro”.

I pestaggi di Accorinti e l’attentato preparato da Leone Soriano

Leone Soriano

Il boss di Zungri Peppone Accorinti si sarebbe scontrato anche con Leone Soriano di Filandari. Sul punto Michele Camillò ha confermato quindi quanto già dichiarato da altri collaboratori aggiungendo nuovi particolari. “Due fratelli della zona del Poro di cognome Pugliese erano soliti fare delle rapine nelle abitazioni di Zungri insieme ad Emanuele Mancuso. So che Peppone Accorinti ha quindi malmenato i due Pugliese. Tale episodio – ha sostenuto Camillò – mi è stato raccontato da Mimmo Cichello che sosteneva la famiglia Accorinti. Mi raccontò pure che Leone Soriano voleva fare un attentato contro Accorinti facendo saltare in aria con una bomba l’auto di Cichello che faceva da autista ad Accorinti. Peppone Accorinti non aveva però paura di nessuno, tanto da girare anche per Filandari, il paese dei Soriano”. [Continua in basso]

L’album fotografico ed i vibonesi

L’esame di Michele Camillò è quindi passato ai riconoscimenti fotografici con la narrazione di tutte le vicende di cui si è detto a conoscenza. Riconosco in foto Salvatore Tulosai – ha dichiarato il collaboratore – che è un amico di mio padre e lavora al laboratorio analisi ed era a disposizione di mio padre dentro l’ospedale di Vibo”. Camillò non ha saputo invece indicare il nome della fotografia raffigurante l’imprenditore – ed imputato – Mario Lo Riggio, spiegando però che “tale persona era sempre in compagnia di Enzo Barba e lo vedevo anche al 501 hotel”. Fortunato Ceraso, detto “Scherzoso”, riconosciuto in foto, sarebbe stato poi presentato a Michele Camillò da “Bartolomeo Arena ed era solito accompagnarsi con Enzo Barba, oltre ad essere presente alla riunione di ‘ndrangheta al cimitero di Vibo”. Quindi Giuseppe Soriano, “nipote di Leone Soriano, conosciuto in carcere e da cui acquistava droga Mommo Macrì”. Ed ancora: riconosciuto in foto Onofrio Barbieri “del clan Bonavota di Sant’Onofrio i cui vertici sono rappresentati dai fratelli Pasquale, Domenico e Salvatore Bonavota, mentre nel clan c’era pure un certo Castagna”, e poi “Michele Lo Bianco, detto U Ciucciu, di Vibo, amico di mio padre che vendeva frutta ai mercati generali”. Giuseppe Barba, detto “Pino Presa”, sarebbe stato presentato a Camillò da Bartolomeo Arena. “Pino Barba era contrario alla mia affiliazione alla ‘ndrangheta e Bartolomeo Arena mi disse che Pino Presa era vicino ai Mancuso. C’era pure lui alla riunione di ‘ndrangheta al cimitero di Vibo”.

Vicino al defunto boss Carmelo Lo Bianco, detto Piccinni, ed al figlio Paolo Lo Bianco, è stato poi indicato “Totò Evalto che aveva una ditta” per la quale avrebbe lavorato anche lo stesso Michele Camillò. Vecchio appartenente alla ‘ndrangheta è stato indicato pure Vincenzo Pugliese Carchedi, “nonno di Bartolomeo Arena, che deteneva delle armi e le vendeva anche”. Al vertice della ‘ndrina sciolta dei Camillò-Pardea-Macrì è stato riconosciuto in foto Antonio, detto Totò, Macrì, “padre di Mommo Macrì, che è stato presente durante la mia affiliazione alla ‘ndrangheta – ha spiegato il collaboratore – così come alle affiliazioni di Pasqualino Callipo, Vincenzo Lo Gatto, Giuseppe Franzè e Antonio Franzè. Totò Macrì era presente alle riunioni al cimitero, a villa Gagliardi e nel garage di Pasqualino Callipo ed ha anche dato in prestito a mio nipote Domenico Camillò una pistola per guardarsi da Loris Palmisano”. Presente alle affiliazioni dei due Franzè, di Lo Gatto e di Callipo sarebbe stato anche Nazzareno Franzè, detto “Paposcia”, “esponente di vertice – ha precisato Camillò – del Buon Ordine di Vibo”.

Antonio Lo Bianco

Presente alle riunioni di ‘ndrangheta a Vibo anche – a detta del collaboratore – “Michele Manco che faceva parte della ‘ndrina sciolta, è stato affiliato con me, ed ha la dote del Vangelo. Ricordo – ha affermato Camillò – che una volta Salvatore Morelli lo mandò a fare un’estorsione ad un certo Ruffa che aveva vinto in un centro scommesse”. Altro personaggio riconosciuto in foto ed indicato da Michele Camillò come presente alla riunioni è stato poi “Antonio Lo Bianco che mi ha presentato il figlio Lorenzo alla trattoria come mio mastro e che già sapevo spacciava fumo”.

Gregorio Niglia

Il riconoscimento fotografico è proseguito con “Gregorio Niglia di Briatico che riforniva di cocaina Mommo Macrì ed era un affiliato di Peppone Accorinti. Niglia – ha aggiunto Camillò – era pure molto amico di Salvatore Morelli”. Fedelissimo di Salvatore Morelli è stato indicato da Michele Camillò anche “Carmelo Chiarella che spacciava droga per conto di Morelli e già faceva parte del vecchio gruppo di Andrea Mantella”. Appartenente alla ‘ndrangheta da diversi anni è stato poi indicato “Carmelo D’Andrea”, mentre il figlio “Giovanni D’Andrea ha la dote dello sgarro – ha dichiarato il collaboratore – e faceva truffe con le assicurazioni”.

A “disposizione di Mommo Macrì” è stato invece indicato “Michele Dominello, affiliato alla ‘ndrangheta nel 2016 insieme a Michele Pugliese Carchedi a casa di Bartolomeo Arena. Michele Dominello con il suocero Salvatore Morgese deteneva armi e su mandato di Mommo Macrì nel 2016 ha messo dei proiettili dinanzi alla ditta Casa del Colore. Michele Pugliese Carchedi è stato invece quello che ha posizionato la carcassa di un delfino davanti alla ditta di Francesco Michelino Patania su mandato di Salvatore Morelli. E’ stato Francesco Michelino Patania – ha ricordato Michele Camillò – a dirmi in carcere che erano stati Michele Pugliese Carchedi e Domenico Tomaino a mettergli il delfino e per via di questo fatto aveva avuto problemi con la polizia. Tomaino aveva chiesto duemila euro al mese a Patania dicendo che questa era la somma che veniva erogata precedentemente ad Andrea Mantella. Al rifiuto avevano posizionato il delfino. Successivamente Patania ha detto a Salvatore Morelli che avrebbero potuto evitare e che non gli avrebbe mai dato duemila euro al mese.

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