Operazione “Via col vento”, Pantaleone Mancuso resta in carcere
Pronuncia della Cassazione sul ricorso del boss di Limbadi e Nicotera nell’ambito dell’inchiesta sugli affari nei parchi eolici
Confermata l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip distrettuale di Catanzaro, Barbara Saccà, e condivisa anche dal Tribunale del Riesame nei confronti del boss Pantaleone Mancuso, alias “Scarpuni”. La seconda sezione penale della Cassazione ha infatti rigettato il ricorso del 58enne di Limbadi, residente a Nicotera Marina, arrestato nel luglio dello scorso anno nell’ambito dell’operazione antimafia denominata “Via col vento”, che mira a far luce sugli affari dell’eolico. Pantaleone Mancuso è in particolare accusato di estorsione e illecita concorrenza con minaccia volti al controllo, o comunque al condizionamento, del mercato relativo alle esecuzioni di opere pubbliche nei parchi eolici di diverse località calabresi, alcune delle quali ricadenti sotto il controllo della cosca mafiosa dei Mancuso di Limbadi, della quale “Scarpuni” è ritenuto un esponente apicale. I reati sono aggravati dalla modalità mafiose. Per la Suprema Corte, il “soggetto chiave delle relazioni fra le varie cosche interessate ai lavori” è da identificarsi nell’imprenditore Giuseppe Evalto, 56 anni, nativo di Spilinga ma residente a Pizzo, la cui posizione è rimasta di competenza della Dda di Reggio Calabria. Sarebbe stato lui, secondo l’accusa, l’imprenditore di riferimento di Mancuso al fine di rapportarsi con le grandi imprese che avevano ottenuto l’appalto per la costruzione dei parchi eolici. Evalto sarebbe stato contemporaneamente imprenditore e collettore degli interessi delle consorterie, rappresentando per l’accusa una figura “cerniera” in grado di relazionarsi con le due realtà – quella criminale e quella imprenditoriale – riuscendo ad imporre alle società impegnate nella realizzazione dei parchi eolici l’affidamento, a favore di ditte colluse o compiacenti, dei lavori collegati alla realizzazione delle opere. Per i giudici, “i gravi indizi dei reati contestati sono costituiti, in primis, dal contenuto di una serie di univoche e convergenti conversazioni, nonché dal servizio di localizzazione Gps e dai servizi di osservazione e pedinamento”. Pantaleone Mancuso “non ha contestato la sussistenza dei gravi indizi in ordine ai vari reati a carico “dell’ingegnere”, ma ha invece contestato, alla radice, la sua partecipazione ai suddetti reati, escludendo che egli possa essere identificato con l’ingegnere al quale Evalto si rivolgeva e al quale riferiva delle varie questioni inerenti gli appalti”. Secondo la Suprema Corte, il Tribunale del Riesame nella sua valutazione unitaria della vicenda non ha tralasciato “alcuna alternativa versione difensiva tenuto conto anche e soprattutto della natura dei reati e del contesto ambientale in cui furono consumati. Il Riesame, infatti, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, ha spiegato, sulla base di puntuali elementi di natura fattuale e logici: le ragioni per cui l’appellativo “ingegnere” non poteva essere riferito ad un vero professionista; i motivi per cui Evalto si recava da Mancuso per parlare, riferire e ricevere ordini sugli appalti”. La Cassazione fa infine presente che l’imprenditore Giuseppe Evalto si sarebbe recato da Pantaleone Mancuso “subito dopo inequivoche intercettazioni aventi ad oggetto la spartizione degli appalti, mentre la circostanza che Mancuso telefonò direttamente ad Evalto e Di Palma, titolare di una ditta coinvolta negli appalti, non lascia spazio a versioni alternative e non consente, allo stato degli atti in cui si richiede una probatio minor, di ritenere che l’ingegnere non fosse identificabile nel ricorrente Mancuso”. Le indagini dell’operazione “Via col vento” hanno fatto luce su numerosi episodi estorsivi, sia in danno delle società multinazionali impegnate nella realizzazione dei parchi (Gamesa, Vestas, Nordex), che sottostavano all’imposizione del pagamento del “pizzo” liquidando alle ditte segnalate da Giuseppe Evalto compensi per prestazioni sovrafatturate o mai eseguite, sia in danno delle imprese appaltatrici non colluse, costrette a corrispondere alle cosche una percentuale sull’importo delle opere da eseguire. Pantaleone Mancuso e Giuseppe Evalto, infine, avrebbero condizionato anche il mercato dell’eolico relativo alla costruzione del Parco eolico Vestas di Cutro in concorso con Giovanni Trapasso, ritenuto elemento di spicco dell’omonimo clan del Crotonese. In particolare, il trasporto delle pale eoliche da Taranto a Cutro sarebbe stato affidato alla ditta di Evalto “utilizzando lo schermo giuridico del comodato gratuito al fine di aggirare i divieti contrattuali”. Nei confronti di Pantaleone Mancuso e Giovanni Trapasso, 71 anni, di Cutro, così come per il boss Rocco Anello, 58 anni, di Filadelfia, Romeo Ielapi, 47 anni, imprenditore di Filadelfia, Riccardo Di Palma, 47 anni, di San Lupo (Bn), Mario Scognamiglio, 42 anni, di Napoli, Giovanni Giardino, 47 anni, di Maida, Mario Fuoco, 68 anni, di Crotone, e Giuseppe Errico, 65 anni, di Cutro, il pm della Dda di Catanzaro, Antonio De Bernardo, che ha ereditato il fascicolo dalla Dda di Reggio Calabria, ha da tempo inoltrato al gup distrettuale la richiesta di rinvio a giudizio. L’udienza preliminare è fissata per il 28 marzo prossimo. In foto in alto Pantaleone Mancuso, in basso Giuseppe Evalto LEGGI ANCHE: Tentata estorsione al parco eolico di Filogaso: tre rinvii a giudizio
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