sabato,Novembre 23 2024

‘Ndrangheta: Emanuele Mancuso e l’esplosivo proveniente dalle Preserre vibonesi

Nelle dichiarazioni del collaboratore di giustizia i ruoli inediti di Mirco Furchì e Massimo Vita. La chiamata in causa dei Navarra di Rombiolo e l’incrocio con altre inchieste della Procura di Vibo

‘Ndrangheta: Emanuele Mancuso e l’esplosivo proveniente dalle Preserre vibonesi

Provenivano dalle Preserre vibonesi (Soriano, Sorianello e Gerocarne) gli ordigni esplosivi di cui Emanuele Mancuso (che dal giugno scorso ha deciso di collaborare con la giustizia) ha raccontato agli investigatori di averne “sempre avuto una grande disponibilità. Soprattutto – fa mettere a verbale il pentito – quelli che vengono sparati con i mortai. Di questi ne ho regalati diversi anche al mio amico Giuseppe Soriano di Pizzinni di Filandari, altri li ho usati per danneggiamenti ed altri li facevo esplodere solo per divertimento”.  Non sarebbe però andato a divertirsi, Emanuele Mancuso, in occasione del lancio di una bomba contro l’abitazione a Ionadi dell’imprenditore Antonino Castagna. Una serata criminale che Emanuele Mancuso svela al pm della Dda di Catanzaro, Annamaria Frustaci, ed ai carabinieri del Nucleo Investigativo di Vibo Valentia e dalla quale è possibile ora collegare fatti e personaggi ad altre vicende. Due nomi – quello di Mirco Furchì, 26 anni, di Mandaradoni (frazione di Limbadi)  e di Massimo Vita, 35 anni, di Vena Superiore – che vengono infatti inseriti nell’inchiesta “Nemea” all’atto dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, e quindi ora nella richiesta di rinvio a giudizio, proprio grazie alle dichiarazioni di Emanuele Mancuso. Si tratta di due nominativi che non erano emersi all’atto del blitz (prima un fermo di indiziato di delitto, poi ordinanze di custodia cautelare) dell’operazione “Nemea” del marzo scorso e che, tuttavia, si ritrovano anche in altre inchieste. Come quella della Dda di Bologna denominata “Due Torri connection” che ha stroncato un tentativo di importazione in Italia dal Sud America di cocaina da parte della rete del broker e narcotrafficante Francesco Ventrici di San Calogero (dove Massimo Vita era accusato – e poi prosciolto dal gup nel 2012 da ogni accusa – di aver preso parte all’importazione di 75 chili di cocaina spediti da Santa Marta, in Colombia, e diretti al porto di Gioia Tauro) oppure come la più recente inchiesta “Giardini segreti”, nata proprio grazie alle dichiarazioni di Emanuele Mancuso e che vede fra gli indagati Mirco Furchì, accusato di detenzione ai fini di spaccio di marijuana (con gli atti trasmessi nel suo caso a Genova per competenza territoriale). Lo stesso Mirco Furchì arrestato nel maggio dello scorso anno dai carabinieri delle Stazioni di Nicotera e Zungri con l’accusa di aver prima selvaggiamente picchiato un anziano di 85 anni rubandogli l’auto (e il portafoglio con 70 euro) e poi con la stessa auto essersi recato nel centro Snai di Ionadi per tentare una rapina a mano armata. Lo stesso Mirco Furchì che nel gennaio del 2015 era stato invece arrestato dai carabinieri della Stazione di Spilinga, insieme ad altri quattro giovani, con l’accusa di furto aggravato ai danni di una villetta di Capo Vaticano. E’ il 13 febbraio del 2018 quando un’intercettazione telematica attiva sullo smartphone di Francesco Parrotta (arrestato nell’operazione “Nemea” con l’accusa di essere il braccio operativo del boss Leone Soriano e imputato anche nel processo “Ragno” contro lo stesso clan) registra in diretta le fasi esecutive dell’attentato alla casa dell’imprenditore Antonino Castagna, restituendo il suono e l’eco della deflagrazione dell’ordigno esplosivo e dell’esplosione dei colpi d’arma da fuoco. “Il giorno in cui abbiamo lanciato la bomba contro l’abitazione di Castagna – racconta Emanuele Mancuso – eravamo in macchina io, Mirco Furchì e Massimo Vita di Vena di Ionadi, detto Max, che fa parte del gruppo dei Navarra per il traffico di stupefacenti”. Gli stessi Navarra di Rombiolo coinvolti nell’inchiesta dei carabinieri del Norm di Vibo e della Stazione di Briatico scattata nell’aprile dello scorso anno e denominata “Roba di famiglia”. Un’indagine coordinata dal pm Concettina Iannazzo della Procura di Vibo Valentia che il 2 ottobre scorso ha portato al rinvio a giudizio di 13 imputati con l’accusa di aver spacciato stupefacenti nel Vibonese. “Massimo Vita ha avuto a che fare con me un paio di volte – spiega ancora Emanuele Mancuso – per la vendita di marijuana da parte mia ed una volta mi ha fatto anche una ricarica, in particolare quando nel mese di febbraio sono salito a Genova. All’inizio Mirco Furchì e Massimo Vita non sapevano dell’attentato che dovevamo fare: quando Massimo Vita arrivò in macchina all’altezza del cimitero di Nicotera e parcheggiò la macchina là, non sapeva cosa dovevamo fare. Io ero in macchina con Furchì e raggiungemmo Massimo al cimitero. Arrivati lì dissi: andiamo che dobbiamo mettere una bomba. Non dissi però – continua ancora Mancuso – quale fosse il motivo per cui avremmo dovuto mettere questa bomba e non ricordo se feci il nome della persona da cui ci dovevamo recare”, cioè l’imprenditore Castagna. “Giunti nei pressi del campo di aviazione – ricorda Emanuele Mancuso – abbiamo incontrato Francesco Parrotta il quale è salito a bordo della nostra auto e, percorrendo la stradina che da quella zona ritorna su Filandari, si è fermato in una campagna ed ha prelevato un involucro contenente l’ordigno esplosivo. Parrotta doveva fare solo da basista, però siccome non sapevo di preciso dove fosse l’abitazione di Castagna, lo stesso è rimasto a bordo dell’auto, guidata sempre da Furchì, e ci ha condotto sul posto. Davanti al cancello dell’abitazione di Castagna, Furchì ha lanciato la bomba mentre io ho esploso tre-quattro colpi di pistola. Non  so indicare il tipo di arma, perché non sono un appassionato di armi. Tuttavia posso dire – aggiunge il collaboratore di giustizia – che la stessa era piccola e diversa da quella che aveva Leone Soriano e che ho visto personalmente. Non so indicare se la pistola l’avesse portata Furchì o se era nel plico che ha prelevato Parrotta dalla campagna quando ha preso la bomba. Penso che si tratti dell’arma rinvenuta a Parrotta. Io da Nicotera ho portato solo tre paia di guanti e tre passamontagna”. Nell’occasione, quindi, contro l’abitazione dell’imprenditore Antonino Castagna fu usata una bomba carta “perché erano queste – conclude Emanuele Mancuso – le tipologie di bombe provenienti dalle Preserre vibonesi”.  In foto in copertina: Emanuele Mancuso. Nell’articolo dall’alto in basso: Massimo Vita, Mirco Furchì e Francesco Parrotta    LEGGI ANCHE: ‘Ndrangheta: Emanuele Mancuso e i progetti di morte contro il boss Peppone Accorinti

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