Comando provinciale dei carabinieri di Vibo, individuata la nuova sede
La giunta comunale propone la concessione in comodato d’uso gratuito dell’ex convento dello “Spirito Santo”. Ecco tutti i tentativi di una politica “ballerina” che da un ventennio cerca invano di assegnare un immobile all’Arma
Sarà l’ex convento dello “Spirito Santo” ad ospitare la nuova sede del Comando provinciale dei carabinieri di Vibo Valentia. Questo, almeno, quanto si augura la giunta comunale guidata dal sindaco, Elio Costa, che ha approvato un’apposita delibera quale atto di indirizzo al dirigente del servizio “Patrimonio” del Comune affinchè proponga al competente consiglio comunale, nella prima seduta utile, di voler concedere in comodato d’uso gratuito, per la durata di novantanove (99) anni, l’edificio di proprietà comunale sito a Vibo Valentia in largo Conservatorio per la realizzazione del Comando provinciale dell’Arma. Tutti gli oneri inerenti e conseguenti, compresi quelli derivanti da ristrutturazione, rifacimento e messa a norma degli impianti, adeguamento strutturale, manutenzione ordinaria e straordinaria saranno ad esclusivo carico del concessionario. Per il comando provinciale dei carabinieri – che da decenni aspetta una sede più consona e funzionale rispetto all’attuale ubicata in via Pellicano – potrebbe quindi essere la volta buona se il Consiglio comunale si deciderà a riunirsi ed a discutere dell’importante delibera. La realizzazione di una nuova sede per i carabinieri è da decenni costellata da difficoltà, retromarce e scelte di siti inadeguati. Tralasciando i vari tentativi della politica politicante e “ballerina” degli anni ottanta, durante i quali la città di Vibo è stata governata (o sgovernata, a seconda delle opinioni) con la media di due sindaci all’anno, il primo serio tentativo di individuare una sede consona al prestigio di un presidio provinciale dell’Arma, è stato fatto a metà anni ’90 sotto la consiliatura del sindaco Giuseppe Iannello. Fatto fuori Iannello, il Consiglio comunale dell’epoca (sindaco Alfredo D’Agostino) è tornato ad occuparsi della pratica nella seduta del 23 gennaio 1998. La richiesta di costruzione della caserma dei carabinieri, in questo caso, era arrivata da un privato che aveva individuato la località nota con il nome di “Gallizzi”. Ma nonostante il personale interessamento dell’allora comandante dei carabinieri Antonio Mirante, che si era premurato di convocare tutti i capigruppo consiliari di Vibo per un voto favorevole alla realizzazione della caserma, il consiglio comunale aveva poi sonoramente bocciato la pratica. Una bocciatura che ha causato all’epoca anche non pochi problemi politici perché, due mesi dopo – nel marzo del 1998 – l’allora dirigente della ripartizione Urbanistica del Comune di Vibo Rosaria Di Renzo, si è dimessa dall’incarico per insanabili contrasti con l’allora assessore all’Urbanistica Domenico Basile. Al centro dello scontro, anche l’area sulla quale far sorgere la caserma dei carabinieri. Non passata la localizzazione a “Gallizzi”, della nuova caserma dell’Arma si è tornato a parlare solo nel marzo del 2001, allorquando il consiglio comunale, dopo la relazione del nuovo assessore all’Urbanistica Salvatore Grillo e precedenti sedute del Consiglio andate deserte, si è pronunciato per una nuova localizzazione. Tre le aree proposte dall’amministrazione guidata da Alfredo D’Agostino al nuovo comandante provinciale dell’Arma Rosario Prestigiacomo: una nei pressi della casa circondariale; un’altra sulla provinciale per Triparni vicino gli uffici dell’acquedotto ed indicata nel Prg come zona agricola, ed infine una lungo la Statale 18, località Moderata Durant, zona destinata nel Piano regolatore generale a verde attrezzato. La scelta dell’Arma si è orientata alla fine su quest’ultima località e lo stesso comando dei carabinieri presentò all’epoca un progetto preliminare per una previsione di spesa di 16 miliardi di lire a carico del Comune che doveva realizzare l’opera. Il 20 luglio del 2001 il consiglio comunale ha dato così “disco verde” per la nuova sede dell’Arma a Moderata Durant su un’area di 14mila metri quadrati. Tutto a posto? Neanche per idea. Insediatasi la prima amministrazione guidata dal sindaco Elio Costa, la costruzione della caserma sparisce dall’agenda politica. Se ne ritorna a parlare il 3 aprile 2007, quando la giunta comunale guidata dall’allora sindaco Franco Sammarco approva un progetto per la sopraelevazione e l’ampliamento di un fabbricato artigianale da destinare a caserma dei carabinieri. Abbandonata la zona di Moderata Durant, la giunta Sammarco si orienta per un nuovo edificio ubicato in via degli Artigiani di proprietà della ditta “Brosio Nicola e fratelli”, dando il via libera alla richiesta di mutamento di destinazione d’uso del fabbricato, che da artigianale passò a caserma dei carabinieri. Una struttura individuata come idonea anche dal nuovo comandante provinciale dell’Arma dell’epoca, Pasquale Vasaturo. Si trattava di un fabbricato di tre piani fuori terra, con la previsione della realizzazione, in variante al Piano regolatore, di un terzo piano da adibire a residenza per il personale di servizio. Il resto del fabbricato, nei progetti, doveva comprendere la “zona operativa”, ubicata al piano terra ed al primo piano, più un’area per i parcheggi. Oggi, quindi, la nuova sede viene individuata nei locali dell’ex Convento dello Spirito Santo. Sperando che sia la volta buona, senza tralasciare che in precedenza persino la realizzazione della nuova caserma dell’Arma era finita nei pensieri della ‘ndrangheta. Come rivelato, infatti, in un’intercettazione ambientale dell’11 novembre 2002 confluita nell’operazione “Nuova Alba”, un imprenditore – poi arrestato nella stessa operazione – discutendo con un’altra persona faceva riferimento alla costruzione della caserma dei carabinieri di Vibo. Al riguardo, gli inquirenti evidenziarono come la sede dell’Arma avrebbe dovuto realizzarla un esponente di rilievo della cosca Lo Bianco, il quale avrebbe poi dovuto dare 100 milioni al boss Carmelo Lo Bianco, detto “Piccinni” (morto in carcere nel 2014) ed al boss Antonio Mancuso di Limbadi. Un progetto, fortunatamente, poi del tutto naufragato.