LA STORIA/Il marocchino che amava la Calabria
La storia di Ahmed El Idrissi, per tutti Stefano, morto in questi giorni a Briatico per colpa della leucemia, la cui salma è stata rimpatriata grazie al contributo volontario della comunità.
“U beni si fa in silenziu”. Questa frase era comandamento nella vita degli uomini e delle donne di un tempo. Ogni uomo onesto, nel compiere un gesto benevolo nei confronti di una persona meno fortunata, doveva tenerla bene impressa in mente. Perché il bene, quello vero e nato dal cuore, si doveva fare in maniera disinteressata, pena, la sua mancanza di valore. E in più, la persona oggetto di questo atto, non doveva poter provare disagio per un gesto che poteva diventare di dominio pubblico. Il silenzio diventava così sigillo di garanzia del bene che si provava. Nei tempi in cui, non si avevano grandi ricchezze ma, si fondava la propria vita, su principi di sana e civile convivenza, tutto ciò assumeva davvero un valore immenso; sul rispetto delle persone e delle povere cose che si possedevano; sull’unione tra genti o famiglie, come leva su cui contare nei momenti di bisogno.
E in questi giorni, questa frase torna ad assumere come un tempo, il suo più profondo significato. Dopo aver appreso della morte di un uomo, un gigante buono, venuto dal Marocco, tantissimi anni fa. In un piccolo paese della provincia vibonese, ha deciso di far crescere la sua famiglia e lavorare onestamente come ambulante per i paesini della stessa provincia. Ahmed El Idrissi, era conosciuto da tutti come Stefano.
E’ morto pochi giorni fa di leucemia a soli 44 anni. Aveva 4 figli e una amorevole moglie. Il più piccolo dei suoi figli, aveva ancora solo 3 anni. Una famiglia umile, rispettosa e laboriosa, integrata con cuore nella piccola comunità di San Costantino di Briatico. Tutti gli hanno voluto bene e continuano a voler bene al resto della sua famiglia. Ne dà atto, il gesto che da molti paesi della provincia, dove Stefano era conosciuto, fino alla stessa Vibo Valentia, si è provveduto ad una volontaria raccolta fondi da consegnare alla famiglia, affinché la sua salma, fosse riportata in Marocco. Un gesto tanto nobile quanto spontaneo, nato dai giovani compagni dei figli di Stefano che, in poco tempo, ha coinvolto adulti, e addirittura persone che non hanno mai conosciuto né lui né la sua famiglia ma, che sono stati toccati al cuore dalla triste storia e dall’amore che ha mosso questo libero gesto di solidarietà verso la famiglia.
Stefano era musulmano e per questo il suo corpo, deve tornare in sepoltura nel paese natio e sepolto secondo un rito semplice e umile richiesto dalla sua fede. La morte, per chi è di fede musulmana, è considerata come un momento di passaggio alla vera vita, quella che non avrà mai fine e consentirà allo spirito di progredire.
E se come si descrive nel rito funebre musulmano in cui, Dio si occupa di ricompensare ciascuna anima in base a come si è comportata in vita, Stefano, dai numerosi attestati di stima arrivati in maniera volontaria e libera da molti paesi del circondario, ha già avuto la più grande ricompensa che un uomo possa avere sulla faccia della terra: l’ammirazione per un uomo semplice ed umile, rispettoso ed onesto.
Tutto è stato fatto in rispettoso silenzio. Questo è il fatto che più colpisce in questa storia. Ogni persona, sia che l’abbia conosciuto o semplicemente ne ha sentito parlare, ha voluto contribuire in qualche modo, al ritorno della salma nella sua terra di origine. Probabilmente oggi Stefano ritornerà in patria, lasciando qui, nel piccolo paese di San Costantino e in chi l’ha conosciuto, un grande senso di vuoto e la consapevolezza che, fede, colore, lingua o usi e costumi diversi dai nostri, non sono limiti nell’amore tra le persone e il bene che si viene dimostrato. Un esempio quello, di San Costantino di Briatico, di vera integrazione sociale: di vera e pura unione di anime. In un mondo che si odia, un piccolo paese della Calabria insegna a tutti come si ama e ci si accoglie come semplici uomini.
Buon viaggio Stefano.
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