Rinascita Scott: Bartolomeo Arena, il delfino morto e l’incendio del furgone a De Angelis
Il collaboratore di giustizia svela gli autori dei due atti intimidatori nei confronti del costruttore Francesco Patania, imputato nel maxiprocesso, e dell’allora coordinatore provinciale di Fratelli d’Italia
Intimidazioni anche attraverso l’uso della carcassa di un delfino e danneggiamenti con l’incendio dell’auto. Continua la deposizione del collaboratore di giustizia, Bartolomeo Arena, nel maxiprocesso Rinascita Scott e le sue dichiarazioni gettano un fascio di luce su diversi episodi criminali rimasti impuniti ed abbastanza recenti. E’ il 18 gennaio 2017 quando un furgone della ditta “De Angelis Arredamenti” di proprietà di Fausto De Angelis, all’epoca coordinatore provinciale del partito Fratelli d’Italia, viene dato alle fiamme nel quartiere Affaccio di Vibo Valentia. Il mezzo riporta danni nella parte anteriore, al vano motore e nella cabina di guida. Fausto De Angelis, già consigliere comunale a Vibo Valentia, in passato era stato candidato alle elezioni europee e regionali. Nell’immediatezza, i carabinieri non avevano escluso collegamenti fra l’incendio e l’attività politica di De Angelis. Ad escluderli, invece, è stato il collaboratore di giustizia Bartolomeo Arena, che ha fatto rientrare l’incendio nell’ambito delle pressioni esercitate dal suo gruppo per costringere commercianti e imprenditori a pagare l’estorsione. “E’ stato Domenico Tomaino, detto U Lupu, ad incendiare il furgone a Fausto De Angelis, titolare di un negozio di mobili – ha dichiarato Bartolomeo Arena. Domenico Tomaino faceva inizialmente parte del gruppo diretto da Andrea Mantella ed è cognato di Salvatore Morelli. E’ entrato poi nel nostro gruppo, mio di Morelli, Francesco Antonio Pardea, Mommo Macrì ed i Camillò ed aveva il compito di portare i messaggi di Salvatore Morelli ma anche di eseguire materialmente alcuni danneggiamenti come, appunto, l’incendio al furgone di Fausto De Angelis che ha un negozio di mobili”. Per altre azioni criminali, il gruppo si sarebbe servito anche “di Giuseppe Tomaino, fratello di Domenico, che era pure più abile del fratello”. [Continua in basso]
Il delfino morto per Patania
E’ il 21 marzo del 2017, invece, quando dinanzi all’azienda “Patania Costruzioni srl” di via Angelo Savelli n.7, nel quartiere Affaccio di Vibo Valentia, viene rinvenuta la carcassa di un delfino. “E’ stato Salvatore Morelli il mandante di tale intimidazione – ha svelato il collaboratore – ai danni di Francesco Michelino Patania, che io chiamavo mastro Ciccio, zio dei Pugliese-Cassarola e parente di Mantella. Morelli voleva esercitare delle pressioni per riprendere gli accordi che c’erano fra Patania e Andrea Mantella e, quindi, il costruttore Patania doveva continuare ad aiutare il nostro gruppo con la dazione di somme di denaro, anche dopo la collaborazione con la giustizia di Andrea Mantella. Nonostante Patania facesse parte del clan Lo Bianco, siccome faceva orecchie da mercante alle richieste di Morelli, lo stesso Morelli pensò ad un’intimidazione. Un giorno – ha spiegato Bartolomeo Arena – si trovava a passeggiare in spiaggia con Lollo Niglia quando notò un delfino morto. Lo mise da parte nascondendolo fra gli scogli e una volta tornato a Vibo mandò Domenico Tomaino a recuperarlo. Insieme a Michele Pugliese Carchedi, Domenico Tomaino ha poi depositato la carcassa del delfino davanti alla ditta Patania Costruzioni. Sul posto sono intervenute le forze dell’ordine perché la zona era pjena di telecamere. Patania, nonostante il delfino, non pagò però mai l’estorsione al nostro gruppo”.
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