Rinascita Scott: Bartolomeo Arena racconta il boss di Sant’Onofrio Domenico Bonavota
Il pentito: «Il vero numero uno è Pasquale, ma sul territorio è lui che comanda». E poi: «Ha rapporti che altre famiglie di ‘ndrangheta si sognano»
L’esame del collaboratore di giustizia Bartolomeo Arena al maxiprocesso Rinascita Scott prosegue con i riconoscimenti fotografici di diversi imputati. Si riparte da Onofrio Barbieri, «uomo di fiducia dei Bonavota di Sant’Onofrio», dice. Poi Michelangelo Barbieri, «nipote, perché figlio della sorella, di Peppone Accorinti di Zungri». Arena ricostruisce storie di usura, imbasciate, sparatorie, risse, pestaggi. Poi l’effige di una delle teste di serie del maxiprocesso, ovvero Domenico Bonavota, boss del clan di Sant’Onofrio. [Continua in basso]
«Lo conosco almeno dal 1995 – racconta il dichiarante -. Io li conoscevo tutti, pure il padre, Vincenzo. Mio padre pure lo conosceva, così come conoscevo lo zio Domenico Cugliari detto “Micu ‘i Mela”. C’erano rapporti ’ndranghetistici. Domenico Bonavota ha doti altissime di ‘ndrangheta e sicuramente è lui il capo dell’ala militare. Lui ha deciso tutto in questi ultimi anni. Lo so da Francesco Antonio Pardea e Salvatore Morelli. Domenico Bonavota si è alleato con Andrea Mantella e Francesco Scrugli e poi ha eliminato tutti i suoi rivali. Inizialmente è stato cresciuto dai suoi familiari, poi durante la carcerazione è stato avvicinato molto dai Crotonesi e dai Grande Aracri di Cutro, coi quali lo portò avanti Emilio Bartolotta di Stefanaconi, non che Domenico Bonavota ne avesse bisogno».
Bartolomeo Arena spiega che tra i Bonavota «il vero numero uno è Pasquale, che si è allontanato su Roma. Sul territorio, in assenza di Pasquale e dello zio Domenico Cugliari, è Domenico Bonavota quello che conta di più. Nel primo interrogativo ho detto che “credo sia il contabile” dei Bonavota, ma non ne sono sicuro. Era un personaggio che ha saputo interloquire con varie famiglie della Calabria. In questo sono stati “bravissimi”. Già negli anni ’90 avevano rapporti che altre famiglie della ‘ndrangheta se li sognavano. Non ho contezza di come sono organizzati. Dopo l’omicidio dei Cracolici, io mi sono allontanato e non ho più voluto sapere tante cose. Ho mantenuto rapporti solo con Giuseppe Fortuna, fratello di Francesco».
Sempre Arena: «Io so che i Bonavota hanno influenza a Carmagnola, nel Torinese, dove comanda lo zio Salvatore Arone. So che i Bonavota sono presenti a Genova, a Roma e in un paese vicino Toronto, in Canada. Questo lo appresi negli anni 2000 da Fortunato Mantino, che mi disse che c’era un locale di ‘ndrangheta in Canada, dove i Bonavota avevano dei cugini». [Continua in basso]
A questo punto il collaboratore traccia i contorni del regolamento di conti tra gli stessi Bonavota ed i Cracolici, «che fino al 2000 comandavano in tutta l’area di Maierato». Con l’omicidio di Alfredo Cracolici, nel 2002, e poi quello di Raffaele Cracolici, nel 2004, i Bonavota divennero padroni di tutto. «Il ruolo principale in questo contesto lo aveva Francesco Fortuna – spiega il collaboratore –. Era uno che sapeva usare bene le armi ed è stato impiegato in diversi “lavori”, sia nel territorio d’origine sia fuori provincia. Lui era bravissimo col kalashnikov, ma questa cosa la sanno pure i bambini». E poi: «Le informazioni che ho su Sant’Onofrio le ho sapute da Salvatore Morelli e Francesco Antonio Pardea. So che Fortuna usò il kalashnikov per l’omicidio di Domenico Di Leo, mentre Scrugli sparò col fucile. Lo appresi sempre da Francesco Antonio Pardea che sapeva tutto alla perfezione di questa storia. E so anche che usò il kalashnikov nell’omicidio di Raffaele Cracolici».
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