Assenteismo al Comune di Pizzo: prescrizione per 47 imputati
Solo una dipendente ha rinunciato per proseguire il processo. La malagiustizia al Tribunale di Vibo colpisce ancora. Nel 2010 gli arresti erano stati sette
Non luogo a procedere per intervenuta prescrizione. Questa la conclusione, dinanzi al Tribunale di Vibo Valentia, per il processo sugli assenteisti al Comune di Pizzo Calabro nato dall’operazione denominata in codice “Indipendenti comunali” che aveva portato il 10 novembre del 2010 i carabinieri ad emettere sette misure cautelari nei confronti di altrettanti dipendenti del Comune di Pizzo ed a denunciare a piede libero altri 43 indagati – tra impiegati ed Lsu – finiti poi sotto processo per i reati di truffa aggravata ai danni di un ente pubblico e falsità ideologica. Le misure cautelari erano scattate all’epoca per: Antonella Averta, 46 anni, Rosa Maria Galeano, 67 anni, Antonio Maglia, 65 anni, Marcella Lo Schiavo, 49 anni, Sebastiano Belsito, 38 anni, più altre due persone nel frattempo decedute. Le due donne erano state sorprese dai carabinieri della Stazione di Pizzo, diretti all’epoca da Pietro Santangelo, mentre partecipavano ad un funerale. Un altro dipendente era stato invece inseguito ed arrestato dal capitano Gabriele Argirò nei pressi di un supermercato dove si era recato a fare la spesa. Era da qualche mese che i carabinieri della locale Stazione seguivano tutte le mosse degli assenteisti con telecamere e pedinamenti. L’organico del Comune di Pizzo Calabro prevedeva all’epoca 95 dipendenti tra titolari ed Lsu, uno per ogni cento abitanti. Soddisfazione per l’operazione era stata espressa all’epoca dal sindaco Fernando Nicotra, il quale aveva dichiarato che si trattava di un’inchiesta salutare da esportare in altri Comuni ed enti. Il mancato funzionamento della giustizia al Tribunale di Vibo Valentia, fra carenze di giudici e rinvii su rinvii, ha finito però per cancellare anche questo processo. Otto anni non sono stati infatti sufficienti per arrivare neppure alla sentenza di primo grado. Un altro esempio di malagiustizia concreta, arrivata mentre alcuni “paladini della legalità” (politici in primis che avrebbero dovuto fornire alla giustizia uomini e mezzi per farla funzionare in tempi celeri) sono stati impegnati in questi anni in convegni e tavole rotonde, approntate un po’ ovunque nel Vibonese, per parlare di temi astratti. L’unica imputata che ha inteso rinunciare alla prescrizione per avere una sentenza nel merito delle accuse (ricordiamo che la prescrizione non equivale all’assoluzione e che si prescrive solo quando non si può assolvere per evidenza dell’innocenza) è stata Jarmilla Blahova, all’epoca responsabile del settore Urbanistica del Comune di Pizzo. Stando alle indagini, al Comune di Pizzo Calabro sarebbe stata prassi normale timbrare e poi uscire o anche far timbrare il proprio cartellino d’ingresso ad un collega. Le immagini diffuse all’epoca dai militari dell’Arma avevano confermato che molti impiegati comunali approfittavano dell’orario d’ufficio per andare a fare la spesa o per impegnarsi in mille altri modi, come andare in palestra o dal parrucchiere. Grazie ad alcune telecamere nascoste si era così scoperto che dei 95 dipendenti in forza al Comune, 50 di fatto si sarebbero assentati regolarmente dal posto di lavoro, a volte anche per l’intera giornata. Una situazione che raggiungeva l’apice nei giorni del mercato settimanale, quando erano addirittura di più i dipendenti che si potevano vedere in giro a fare la spesa che quelli rimasti all’interno dei propri uffici. Il sistema, secondo gli inquirenti, era così consolidato che ormai non ci faceva più caso nessuno, tanto che gli impiegati comunali, come se fosse la cosa più normale del mondo, tranquillamente tornavano in ufficio portando con loro le borse della spesa. I badge venivano spesso lasciati nei pressi della macchinetta segnatempo dove qualcuno di loro, a turno, avrebbe provveduto a vidimarli il giorno successivo. Altri dipendenti sono arrivati ad assegnarsi decine di ore al mese di straordinario. Nulla da fare, però, per la giustizia. Tutto finito in prescrizione.
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