Spaccio di droga a Vibo: i motivi della Cassazione per respingere la rimessione del processo a Morano
Il 21enne aveva chiesto lo spostamento del processo in quanto figlio della presidente della sezione penale Lucia Monaco. E’ stato poi condannato a luglio a 8 mesi con pena sospesa
Sono state depositate dalla quarta sezione penale della Cassazione (presidente Rocco Marco Blaiotta, giudice relatore Emanuele Di Salvo) le motivazioni con le quali il 10 aprile scorso è stata rigettata l’istanza di rimessione del processo nei confronti di Francesco Morano, 21 anni, di Vibo Valentia, poi condannato il 5 luglio scorso dal gup del Tribunale di Vibo, Giulio De Gregorio (al termine di un processo celebrato con rito abbreviato che è valso per l’imputato uno sconto di pena pari ad un terzo), a 8 mesi e 1.500 euro di multa (pena sospesa) per tre episodi di cessione di stupefacenti (marijuana), mentre è stato assolto per altri sei episodi contestati. L’istanza di rimessione del processo era stata avanzata e motivata da Francesco Morano (attraverso il suo difensore Francesco Gambardella) in quanto il presidente della Sezione penale del Tribunale di Vibo, Monica Lucia Monaco, è la madre dell’imputato. Secondo tale istanza, quindi, “un giudice della Sezione presieduta dalla madre dell’imputato dovrebbe decidere sulla fondatezza o meno dell’imputazione mossa nei confronti del Morano. Ne deriva – si legge nell’istanza riassunta dalla sentenza della Cassazione – che qualunque giudice sia chiamato a decidere in merito all’accusa formulata nei confronti del figlio della presidente della sua Sezione potrebbe non avere la serenità indispensabile per il giudizio. Vi è dunque una grave situazione locale, destinata a proiettarsi con effetto perturbatore nell’ambito del processo, non eliminabile se non con la rimessione del processo, non sussistendo i presupposti per un’astensione o una ricusazione del giudice, poiché si versa in una ipotesi differente”. Sin qui l’istanza di Francesco Morano. La Cassazione nel respingerla spiega però che “la doglianza formulata non può trovare ingresso in questa sede. L’istituto della rimessione del processo, che ha natura eccezionale, può infatti trovare applicazione – sottolinea la Suprema Corte – solo in presenza di gravi e non altrimenti eliminabili situazioni locali, in grado di turbare lo svolgimento del processo e di pregiudicare la libera determinazione delle persone che vi partecipano. Ne deriva che i profili di condizionamento derivanti dallo stretto legame di parentela esistente tra l’imputato ed un magistrato dell’ufficio, con funzioni dirigenziali, devono essere superati attraverso i diversi istituti della ricusazione o dell’astensione. Ove poi tutti i giudici si astengano o vengano ricusati e le relative dichiarazioni vengano accolte, con conseguente impossibilità di procedere alla sostituzione dei magistrati, potrà trovare applicazione – concludono i giudice della Cassazione – il disposto dell’art. 43, comma 2, cod. proc. pen., con conseguente rimessione del processo al giudice ugualmente competente, determinato a norma dell’art. 11 codice di procedura penale”. Per tali motivi l’istanza è stata dichiarata inammissibile. Per l’inammissibilità del ricorso si era espressa anche la Procura generale della Cassazione attraverso il magistrato Olga Mignolo. LEGGI ANCHE: Spaccio di droga a Vibo e Piscopio: cinque condanne
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