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Anche Pizzo ha il suo “Morandi”: il viadotto autostradale che agita i sonni dei residenti (VIDEO)

All’indomani della tragedia di Genova l’attenzione sulle opere infrastrutturali simili per età e tecniche costruttive è massima. Tra queste il “Costiera di Pizzo”, il ponte più lungo della Salerno-Reggio Calabria, che inizia a mostrare i segni del tempo. Ecco la sua storia 

Anche Pizzo ha il suo “Morandi”: il viadotto autostradale che agita i sonni dei residenti (VIDEO)
Il viadotto autostradale Costiera di Pizzo

Con i suoi 1950 metri di lunghezza è il ponte autostradale più lungo dell’intero tracciato calabrese della Salerno Reggio-Calabria. Il viadotto “Costiera di Pizzo” è un’opera infrastrutturale che fin dal 1969 domina letteralmente lo scenario del tratto più a nord dell’area costiera vibonese, sovrastando con i suoi 53 metri d’altezza, nel punto più alto, l’abitato di Pizzo Calabro. Con un telaio strutturale composto da 47 campate, l’opera rappresenta un “caso di scuola” delle tecniche costruttive maggiormente utilizzate all’epoca della sua edificazione. Le travi – come si apprende dalla Guida alle architetture del Novecento in Calabria – sono del tipo prefabbricato in cemento armato precompresso mentre i piloni sono in cemento armato a sezione scatolare cava gettate in opera. Il rapporto instaurato dal viadotto con il paesaggio circostante è definito dagli addetti ai lavori “estremamente interessante”. “Esso – si legge nel volume curato da Fabrizia Berlingieri e Laura Thermes – si adagia a mezza costa seguendo l’orografia della propaggine più settentrionale del Poro e, simile ad una cinta muraria, sovrasta a monte l’abitato di Pizzo. Il “Costiera di Pizzo”, grazie alle sue dimensioni scandite ritmicamente dal chiaroscuro del telaio strutturale, si confronta con la scala dell’intero invaso del Golfo di Sant’Eufemia da cui anche a grande distanza risulta chiaramente visibile ponendosi come un preciso riferimento territoriale”. (L’articolo prosegue sotto la pubblicità)  

Un’opera che da sempre viene osservata con deferenza e con un certo timore dai residenti proprio per la sua manifesta imponenza. Oggi, all’indomani del crollo del viadotto Polcevera che ha ferito a morte la città di Genova, uccidendo decine di persone, si riapre anche livello locale l’eterno dibattito sul suo stato di manutenzione. Progettato dall’ingegner Salvatore Ruiz, padre del tracciato della Salerno-Reggio Calabria, l’opera è strutturalmente riconducibile, come detto, allo schema in uso all’epoca e di cui principale e riconosciuto esponente era il visionario ingegnere Riccardo Morandi, progettista del viadotto genovese così come del ponte “Bisantis” di Catanzaro, nonché di numerosi altri ponti. Anche all’opera napitina, secondo gli storici locali, diede il suo contributo proprio Morandi che, nello stesso periodo, progettò diverse infrastrutture lungo l’odierna autostrada A2, tra i quali i viadotti sul Favazzina (1965-66) e sulla Costa Viola (1970-72) nei pressi di Scilla. Franco Cortese, appassionato di storia locale, ricorda quanto l’ingegnere romano amasse intrattenersi «nell’allora piazza Umberto I e, con la sua equipe romana di tecnici, pranzare al Medusa, nella stessa piazza di Pizzo. Io – rammenta -, allora giovanotto, ricordo le tavolate fuori del locale e le discussioni di lavoro. Rammento che il cuoco ‘Ndino (baffone) riuscì a fargli mangiare il pollo con le patate (era restio a questa pietanza), meritando gli elogi del genio del cemento armato. Ricordo che lo mettevano a capotavola. L’amico Pasquale, proprietario del Medusa assieme al padre Ercole, erano molto amici». Vi è da dire che in quegli anni, Morandi frequentava assiduamente l’odierna provincia di Vibo Valentia. È suo infatti anche il progetto del Cementificio di Vibo Marina, edificato proprio nel 1968, in pieno boom economico.  

Tornando alla struttura autostradale essa presenta inevitabilmente, come molte risalenti a quell’epoca, i segni del deterioramento: lungo i suoi imponenti piloni è da tempo possibile osservare il calcestruzzo crepato e, in alcuni casi, il ferro dell’armatura che affiora a vista. “Ad ogni temporale o terremoto prego Dio di non voler farci del male perché non resterebbe nemmeno l’ombra di noi poveri mortali”, scrive una cittadina di Pizzo sui social. Il ponte, così come tutti gli 11 chilometri di autostrada ricompresi tra gli svincoli di Pizzo e Sant’Onofrio, sono stati inseriti da Anas nel Piano di manutenzione da oltre un miliardo di euro, presentato nel 2016 da Gian Vittorio Armani, presidente della società. In questo quadro, lungo il viadotto, recentemente si sono svolti alcuni interventi che si sono concentrati sui giunti e sulle barriere, che sono state innalzate lungo tutto il tragitto per scongiurare il fenomeno dei suicidi di cui anche questa struttura è stata purtroppo protagonista. Nei propositi del Piano di Anas vi è, in riferimento alle province di Cosenza e Vibo, “il risanamento profondo o superficiale del corpo stradale e della pavimentazione stradale e della relativa segnaletica verticale ed orizzontale; l’installazione di nuove barriere e di reti di protezione sui viadotti; il risanamento/restauro delle opere d’arte; l’adeguamento degli impianti di alcune gallerie e nel miglioramento degli impianti di illuminazione degli svincoli; l’integrazione delle opere idrauliche di drenaggio delle acque di piattaforma e di presidio dell’infrastruttura; il consolidamento dei versanti interessati da fenomeni di dissesto; l’incremento delle piazzole di sosta lungo le due carreggiate”. Nessun cenno specifico alla manutenzione delle strutture portanti del viadotto “Costiera di Pizzo”, anche se la stessa Anas, nelle ore successive la tragedia genovese e in relazione alla psicosi sulla sicurezza del ponte Bisantis di Catanzaro, ha tenuto a precisare che in Calabria le opere infrastrutturali di questo tipo sono “costantemente monitorate”. Nel recente passato si era fatta avanti l’ipotesi di un abbattimento del viadotto e della sua sostituzione con un percorso in galleria nel medesimo tratto. Un progetto poi non decollato, destinato con ogni probabilità a non vedere mai la luce.

 

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