Rinascita, il controesame di Mantella: «Se ‘Ntoni ‘i Patata è vivo lo deve a Pasquale Bonavota»
Il diritto di vita, oltre che di morte, del superlatitante spiegato dal collaboratore chiave incalzato dall’avvocato Barillaro: l’imbasciata nella Capitale e il diniego del permesso a compiere l’omicidio
Il secondo round del lungo controesame dell’avvocato Tiziana Barillaro al collaboratore di giustizia Andrea Mantella, difensore del superlatitante Pasquale Bonavota, nell’ultima udienza del maxiprocesso Rinascita Scott, si apre con il deposito di un verbale contenente le dichiarazioni rese da Andrea Mantella alla Direzione distrettuale antimafia di Torino il 17 giugno del 2019. «Lei, in quella sede, non ha riconosciuto Antonino Bonavota, fratello di Pasquale Bonavota. Lei dichiara di averlo visto al bar Luna, a Roma, ma in quell’interrogatorio non lo ha riconosciuto. Come mai?». Mantella, che nel corso della prima fase del controesame aveva evidenziato l’estraneità dello stesso Antonino Bonavota rispetto alle attività criminali dei fratelli, replica: «Forse la foto era datata o sgranata, un problema ci sarà stato».
Omicidi e forza militare
Rispondendo alle domande, il collaboratore aggiunge: «C’era anche in animo di uccidere Antonio Bonavota, alias ‘Ntoni ’i Patata, ovvero il suocero di Domenico Di Leo da non confondere con il fratello di Pasquale. Pasquale Bonavota si oppose a questo omicidio e se questo ’Ntoni ’i Patata è rimasto vivo lo deve a lui, perché gli hanno portato l’imbasciata a Roma e lui ha detto no». E poi, l’avvocato: «Erano in difficoltà o avevano una forza militare paurosa, come ha detto il 17 aprile scorso in quest’aula al pm? Se avevano questa forza militare paurosa perché avevano bisogno di lei?». Il pentito: «In quella fase erano stati messi in difficoltà dai Cracolici e avevano bisogno di un appoggio, sono le dinamiche della ‘ndrangheta. Io mi sono prestato». E poi: «Noi quando facevano gli agguati utilizzavamo sempre armi nuove e fresche e facevamo gli omicidi dall’interno delle macchine che poi venivano bruciate».
Droga e altri affari
Sulle attività di narcotraffico dei Bonavota, invece, Mantella spiega: «Pasquale era un trafficante di droga in quantità industriale, lavorava con i Palamara-Bruzzaniti. Si autofinanziava e finanziava i traffici. Poi aveva affari nel settore dell’edilizia, in particolare nel Lazio, con il genero di Carmine Alvaro “Cupertuni”. Poi questo ragazzo, il genero di “Cupertuni”, venne ucciso. Aveva delle attività con macchinette mangiasoldi, le teneva in un capannone a Sant’Onofrio, dove nascose anche il furgone usato per uccidere Raffaele Cracolici. Abbiamo parlato di queste attività, per le quali utilizzava Carletto Pezzo, un loro sodale, che alzai di carica. Con un certo Pintimalli, che proveniva dalla Toscana, dal carcere di Prato, Pasquale Bonavota mi mandò un pizzino per chiedermi il favore e in effetti così ho fatto. C’era l’indicazione “in testa mettete me” ed io in testa ho messo Pasquale Bonavota. Non ricordo se con lui abbiamo mai parlato di estorsioni».
Da Roma a Torino
Ricorda Mantella che a Roma Pasquale Bonavota gli avrebbe fatto incontrare «uno dei Palamara e Carmine Alvaro, con il quale ero stato detenuto a Rebibbia – specifica –. Alvaro lo incontrai in una tavola calda che aveva lì, vicino al Parlamento». La penalista: «Testimoniando nel processo a carico di D’Elia Paolo più altri, udienza del 7 marzo 2018, ha riferito che i Cracolici dovevano fare un agguato a Pasquale Bonavota a Torino e che su questo c’era un testimone? Chi era il testimone? Chi glielo ha riferito?». Mantella: «Ho appreso dai Bonavota che c’era un testimone, ma non so chi fosse». «E come fa a sapere, a quella data, che ci fosse un testimone processuale se poi quel testimone è venuto fuori solo dopo?», così il difensore. E Mantella: «Io dai Bonavota ho saputo, prima della collaborazione, che c’era un testimone dell’agguato che i Cracolici pianificavano in Piemonte contro Pasquale Bonavota. Poi non so se parlavano di un testimone in termini giudiziari, così ho saputo e così dico».
Gli altri omicidi sfumati
E ancora: «Dovevamo uccidere Antonio Defina, perché i Bonavota lo consideravano un tragediatore e perché si era messo di mezzo contro Salvatore Arone. I motivi erano due. Lo abbiamo anche pedinato per questo, ma non se ne fece nulla. Antonino Lopreiato, detto Nino ’u Morizzu, doveva essere ucciso. Su tutto ci doveva essere il benestare di Pasquale Bonavota, che era a conoscenza della black list. A me risulta che ogni volta che si doveva fare un delitto si avvisava lui, ma non so chi andò a Roma in questo caso perché questo omicidio non l’ho visto io». Sempre Mantella: «Il giorno della strage dell’Epifania, il 6 gennaio del 1991, era in piazza e doveva essere ucciso, assieme allo zio Rosario Cugliari. L’ho appreso dagli stessi Bonavota. So che Pasquale Bonavota, per come riferitomi dai fratelli, era stato l’autore dell’omicidio Moscato. Lui aveva un’agenzia di pompe funebri, davanti al bar del fratello e mi ricordo che a Domenico Di Leo, quando abbiamo fatto l’omicidio, gli ha regalato una bella cassa da morto».
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