Decesso Colloca a Pizzo, otto assoluzioni: «Non un omicidio, ma un suicidio»
Il gup del Tribunale di Vibo Valentia, al termine di un processo celebrato con rito abbreviato, ha assolto tutti gli imputati «perché il fatto non sussiste». L’infermiere vibonese ritrovato cadavere il 25 settembre 2010 nell’auto data alle fiamme
Non un omicidio, bensì un suicidio. Il gup del Tribunale di Vibo Valentia, Marina Russo, ha assolto tutti gli imputati «perché il fatto non sussiste» coinvolti nel procedimento penale relativo all’omicidio di Nicola Colloca, l’infermiere 48enne dell’ospedale di Vibo, residente a Vena Superiore, bruciato vivo nella sua Opel Corsa ed il cui cadavere è stato ritrovato carbonizzato il 25 settembre del 2010 in una pineta a Pizzo. Anche il pm Luca Ciro Lotoro aveva chiesto al gup l’assoluzione degli imputati.
Il perito nominato dal gup – il professore dell’Università di Napoli, Pietro Tarsitano, già direttore del reparto di Medicina legale dell’ospedale Cardarelli – aveva infatti depositato le proprie conclusioni sul decesso di Nicola Colloca: non si tratta di un omicidio ma di un suicidio. Oggi, quindi, sono stati assolti tutti gli imputati: Caterina Gentile, 51 anni, moglie di Nicola Colloca, e Luciano Colloca, 29 anni, figlio dell’infermiere (avvocati Guido Contestabile e Pietro Chiappalone), Michele Rumbolà, 65 anni, di Vibo (avvocato Francesco Muzzopappa), tutti processati con rito abbreviato. [Continua in basso]
Avevano invece optato per l’abbreviato condizionato alla nomina di un perito i seguenti imputati, anche loro assolti: Caterina Magro, 44 anni, nata a Vibo, ma residente a Terni (avvocato Francesco Muzzopappa); Nicola Gentile, 57 anni, di Vibo e Domenico Gentile, 45 anni, di Arena (avvocato Bruno Ganino), cognati di Nicola Colloca. Erano tutti inizialmente accusati di concorso in omicidio e distruzione di cadavere. Alla moglie ed al figlio della vittima, Caterina Gentile e Luciano Colloca, unitamente a Michele Rumbolà, veniva inoltre contestata la premeditazione del delitto, mentre a moglie e figlio pure l’aggravante di aver agito contro un familiare nei reati di concorso in omicidio e distruzione di cadavere.
Abbreviato secco avevano invece scelto i coniugi Domenico Antonio Lentini, 59 anni, e Romanina D’Aguì, 55 anni, entrambi di Vibo Valentia, difesi dall’avvocato Enzo Gennaro ed accusati di favoreggiamento personale. Sono stati pure loro assolti con formula ampia «perché il fatto non sussiste». Secondo l’originaria accusa, i due – convocati in più occasioni dalla polizia giudiziaria quali persone informate dei fatti – avrebbero reso dichiarazioni false e reticenti. In particolare, Romanina D’Aguì avrebbe negato di aver fornito aiuto per la ricerca di documentazione inerente un ricovero e degli esami clinici del defunto Nicola Colloca e di avere interessato Domenico Gentile affinchè si adoperasse a fornire indicazioni in merito all’autopsia su Colloca. Domenico Antonio Lentini avrebbe invece fornito agli investigatori indicazioni errate circa i riferimenti temporali inerenti il rinvenimento del cadavere di Nicola Colloca. In tal modo, D’Aguì e Lentini avrebbero aiutato gli autori dell’omicidio ad eludere le indagini della polizia giudiziaria. [Continua in basso]
La prima ricostruzione
Secondo la prima ricostruzione degli inquirenti, la vittima sarebbe stata colpita violentemente con un corpo contundente in testa che ha provocato a Nicola Colloca un trauma cranico contusivo e fratturativo sulla porzione sinistra della volta cranica, produttivo di conseguenze encefaliche ed emorragiche. Gli imputati avrebbero poi distrutto il cadavere dandolo alle fiamme unitamente all’auto della vittima. Movente del fatto di sangue (con sullo sfondo due relazioni extraconiugali), l’acquisizione dell’eredità della vittima, ovvero circa 200mila euro accumulati dall’infermiere Nicola Colloca.
Il medico legale nominato dal giudice ha escluso l’omicidio
Per il consulente medico-legale del giudice, Nicola Colloca è deceduto per arresto cardiaco causato dall’esposizione del corpo della vittima ad una violenta azione termica innescata dall’incendio e dall’esplosione della miscela (benzina-aria). “Benzina contenuta in una bottiglietta rinvenuta all’interno dell’autovettura. Il decesso può essere retrodatato – ha evidenziato il prof. Tarsitano – molto verosimilmente al giorno della sparizione: 24 settembre 2010. I campioni macro e microscopici esaminati, nonché le risultanze degli esami tossicologici effettuati nel corso dell’autopsia della dott.ssa Bisogni rendono la tesi suicidiaria più compatibile rispetto alle ipotesi omicidiarie”. [Continua in basso]
Ed ancora: “Gli esami radiografici eseguiti, nonché l’obiettività dei vari organi descritti nel corso dell’autopsia effettuata dalla dott.ssa Bisogni permettono di escludere l’azione di armi o oggetti contundenti nei distretti esaminati. L’assenza di ossa della volta è compatibile con l’azione esplosiva della violenta temperatura dell’incendio, tuttavia non permette di escludere con certezza altra azione lesiva. Possiamo però riaffermare – sottolinea il prof. Tarsitano – che Colloca era vivo al momento del violento incendio, mentre un cranio fracassato da oggetti contundenti o da arma da fuoco non sarebbe stato compatibile con la vita”.
Queste le conclusioni: “Gli elementi biologici a disposizione non permettono ulteriori approfondimenti. Come detto anche dall’ing. Mancino, solo il rinvenimento di sistemi temporizzati o telecomandati che avrebbero potuto innescare l’incendio dall’esterno dell’autovettura, potrebbe far orientare o confermare l’episodio omicidiario”.
In altre parole, per il consulente nominato dal giudice nel caso del decesso di Nicola Colloca si potrebbe parlare di omicidio solo se, al limite,fosse provato l’utilizzo di un’autobomba per ucciderlo, circostanza allo stato esclusa totalmente sia per il mancato rinvenimento di sistemi temporizzati o telecomandati che avrebbero potuto innescare l’incendio, sia per il rinvenimento di una bottiglietta di benzina all’interno dell’auto.
Le parti civili (Colloca Antonio, Colloca Francesca Giuseppina e Panzitta Caterina), rappresentate dall’avvocato Diego Brancia, avevano nominato un proprio consulente di parte nella persona del professore Claudio Buccelli, ordinario di medicina legale dell’Università Federico II di Napoli.
Era stato l’antifurto satellitare dell’auto di Nicola Colloca a fornire indicazioni utili ai carabinieri (della Stazione di Pizzo Calabro guidati all’epoca dai marescialli Pietro Santangelo e Paolo Fiorello) – che avevano ricevuto la segnalazione della scomparsa – per condurli sino ad una pineta isolata nel territorio di Pizzo. La morte di Nicola Colloca sarebbe avvenuta nel pomeriggio del 24 settembre 2010. Le indagini hanno permesso inoltre di accertare che prima di arrivare sul luogo dove è stato ritrovato il cadavere, l’auto di Colloca ha viaggiato senza meta per le strade di Vibo Valentia.
Soddisfazione per l’esito del processo e la decisione del giudice è stata espressa dagli avvocati degli imputati assolti. Gli avvocati Pietro Chiappalone e Guido Contestabile – difensori di Luciano Colloca e Caterina Gentile – hanno in particolare parlato di: «Autentico calvario durato undici anni. Per l’assoluzione piena è stata necessaria un’incrollabile fiducia nella giustizia e arrivare al termine di questo giudizio. Una grande vittoria per la quale dobbiamo constatare la correttezza e la dignità con cui i nostri assistiti hanno affrontato questa drammatica esperienza giudiziaria. Rimane lo stupore per una pervicace insistenza dell’accusa privata nel perseguire delle persone perbene».
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