‘Ndrangheta: clan Soriano, no agli atti di “Nemea” nel processo stralcio di “Ragno”
In Appello è imputato Antonio Carà di Filandari. Disattesa la richiesta della Procura generale di Catanzaro. Contestata l’associazione mafiosa
Si è aperto dinanzi alla Corte d’Appello di Catanzaro il processo di secondo grado nei confronti di Antonio Carà, 25 anni, di Filandari, accusato di associazione mafiosa nell’ambito dell’operazione “Ragno” contro il clan Soriano. Carà aveva scelto il rito abbreviato ed era stato condannato il 2 maggio 2013 dal gup distrettuale, Assunta Maiore, a 4 anni ed 8 mesi di reclusione, con pena confermata anche in appello. Il 14 ottobre del 2015, però, la Cassazione ha annullato con rinvio la condanna e quindi ora si è aperto il nuovo processo di secondo grado. In apertura dell’udienza, la Procura generale di Catanzaro ha avanzato alla Corte la richiesta preliminare di produzione dell’attività investigativa (provvedimento di fermo e ordinanza di custodia cautelare) confluita nella recente operazione antimafia denominata Nemea contro il clan Soriano di Filandari. Secondo la Procura generale, la produzione sarebbe stata utile a comprovare la sussistenza del clan Soriano sul territorio di Filandari, della cui partecipazione è accusato pure l’imputato Antonio Carà nell’ambito però del processo nato dall’operazione “Ragno”. Gli avvocati Giuseppe Bagnato e Daniela Garisto, difensori dell’imputato, si sono però opposti alla produzione, specificando che l’operazione Nemea riguarda fatti contestati in epoca temporale recente, gennaio-marzo 2018, e peraltro in parte riguarda anche soggetti diversi che non erano stati coinvolti nell’originario processo Ragno. Antonio Carà, inoltre, non è rimasto coinvolto nell’inchiesta Nemea. La Corte d’Appello ha quindi accolto i rilievi della difesa rigettando la richiesta di produzione documentale della Procura generale ed ha rinviato la discussione del processo all’udienza del 6 febbraio 2019. Carà, secondo l’accusa, avrebbe avuto il ruolo di esecutore degli ordini impartiti dai dirigenti del clan Soriano di Pizzinni di Filandari. L’associazione mafiosa, fra l’altro armata, avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo sarebbe nata per commettere più delitti, in particolare contro il patrimonio come estorsioni e danneggiamenti, commessi anche al fine ritorsivo. Tutto ciò per acquisire il controllo o la gestione di attività economiche ed in particolare di attività imprenditoriali nel campo dell’edilizia e del movimento terra. Fra gli scopi dell’associazione anche la realizzazione di profitti e vantaggi ingiusti mediante l’imposizione di prestazioni e forniture in regime di monopolio.
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