giovedì,Dicembre 26 2024

‘Ndrangheta: “Luce nei boschi”, nessun risarcimento per Francesco Taverniti

La Cassazione nega la riparazione per ingiusta detenzione al 44enne coinvolto nell’operazione contro i clan di Gerocarne

‘Ndrangheta: “Luce nei boschi”, nessun risarcimento per Francesco Taverniti

Nessuna riparazione per ingiusta detenzione per Francesco Taverniti, 44 anni, di Gerocarne. E’ quanto deciso dalla quarta sezione penale della Cassazione che ha rigettato il ricorso di Taverniti avverso l’ordinanza con la quale il 29 marzo 2017 la Corte d’Appello di Catanzaro aveva respinto la sua istanza di riparazione per l’ingiusta detenzione subita nell’ambito del procedimento penale nato dall’operazione antimafia denominata “Luce nei boschi” che l’ha visto uscire assolto dal reato di associazione mafiosa “per non aver commesso il fatto”, mentre per tre episodi di turbativa d’asta il Tribunale di Vibo con sentenza del 20 gennaio 2015 ha dichiarato il non doversi procedere per intervenuta prescrizione. Per la Corte d’Appello Francesco Taverniti ha posto in essere “comportamenti gravemente imprudenti ed, anzi, dolosi e illeciti che hanno concorso in maniera determinante, ad una valutazione ex ante idonea a ingenerare l’apparenza della responsabilità, sia con riferimento al reato associativo che alla configurabilità delle aggravanti delle turbative d’asta, tanto più che Taverniti era rimasto silenzioso in occasione dell’interrogatorio di garanzia”. Secondo la Cassazione, la motivazione dei giudici d’appello è “adeguata e coerente sotto il profilo logico e rispettosa della normativa di riferimento, e la condotta di Francesco Taverniti aveva sostanzialmente contribuito ad ingenerare la rappresentazione di una condotta illecita dalla quale è scaturita, con rapporto di causa-effetto, la detenzione ingiustamente sofferta. In particolare Taverniti aveva posto in essere – rimarca la Suprema Corte – plurime condotte di turbativa d’asta, in concorso anche con appartenenti al sodalizio mafioso, tra cui il cognato Bertucci Leonardo, condannato a 8 anni per associazione mafiosa, al fine di ottenere appalti pubblici nell’ambito di un territorio controllato dalla cosca locale, di cui faceva parte anche suo fratello”. In tale contesto, ad avviso della Cassazione è stata “correttamente valorizzata anche la circostanza che Francesco Taverniti si è avvalso della facoltà di non rispondere nell’interrogatorio di garanzia, omettendo così di fornire spiegazioni idonee a circoscrivere ed inquadrare negli esatti termini la natura dei rapporti con i coindagati e il contenuto delle intercettazioni telefoniche comprovanti il condizionamento dei pubblici appalti”. Per tali motivi il ricorso di Francesco Taverniti è stato rigettato. Nel corso del processo “Luce nei boschi” il pm Marisa Manzini aveva chiesto per Francesco Taverniti la condanna a 9 anni e 6 mesi di reclusione. La sentenza assolutoria e di prescrizione del Tribunale collegiale di Vibo (presidente il giudice Lucia Monaco) per tale posizione non era poi stata appellata dal pubblico ministero. 

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