‘Ndrangheta: Emanuele Mancuso collabora con la Dda di Catanzaro – Video
Il figlio del boss Pantaleone Mancuso, detto “l’Ingegnere” si troverebbe in un carcere riservato ai collaboratori di giustizia
Ha iniziato a rendere dichiarazioni alla Dda di Catanzaro da quasi un mese. La notizia di una sua possibile collaborazione con la giustizia circolava da almeno una settimana, tanto che alcuni suoi stretti familiari si sono già dati volontariamente alla “macchia”. A riempire decine di pagine di verbali raccontando fatti e misfatti degli affari di “famiglia” è Emanuele Mancuso, 30 anni, di Limbadi (ma residente a Nicotera), figlio di Pantaleone Mancuso, 57 anni, detto “l’Ingegnere”, il boss catturato nell’agosto del 2014 a Puerto Iguazù, in Brasile, mentre cercava di attraversare il confine con l’Argentina. Emanuele Mancuso si trova detenuto dal marzo scorso, quando è finito in carcere nell’ambito dell’operazione “Nemea” contro il clan Soriano di Filandari. E’ accusato di aver collocato per conto della ‘ndrina di Pizzinni di Filandari un ordigno esplosivo contro l’imprenditore Antonino Castagna e poi di aver compiuto un furto in una gioielleria di Nicotera. Accuse per le quali si trova a rispondere in concorso con esponenti dei Soriano, famiglia storicamente non in buoni rapporti con il resto del clan Mancuso che nel corso degli anni si è anzi servita del clan di Filandari per poi scaricarlo quando non ne ha avuto più bisogno. Emanuele Mancuso, che avrebbe stretto una forte amicizia con Giuseppe Soriano (figlio di Roberto Soriano, scomparso per lupara bianca), nel gennaio scorso aveva poi optato per un processo con rito abbreviato in relazione ad altra accusa di detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti (marijuana, hashish ed in qualche caso pure cocaina) sino alla produzione e coltivazione di canapa indiana nelle Preserre vibonesi.
Un “personaggio” da sempre “sui generis” ed esuberante Emanuele Mancuso nell’ambito della famiglia di Limbadi e Nicotera, capace di rompere il tradizionale silenzio degli altri componenti del clan, di alzare il telefono per chiamare le redazioni dei giornali e lamentare, sempre e comunque, qualcosa che a suo avviso non andava nei resoconti giornalistici che riguardavano la sua persona. Gli inquirenti – atteso il “personaggio” e la sua caratura – sono impegnati nei primi riscontri alle sue dichiarazioni. Massimo riserbo viene mantenuto anche sul possibile luogo della sua attuale detenzione, ma si parla insistentemente del carcere di Paliano, in provincia di Frosinone, struttura esclusivamente riservata ai collaboratori di giustizia. Emanuele Mancuso – qualora la decisione di saltare il “fosso” fosse genuina – potrebbe fra l’altro, aiutare a far luce su almeno quattro fatti di sangue eclatanti: l’omicidio di Cosma Congiusti a Nicotera, quello del broker della cocaina Vincenzo Barbieri ucciso nel marzo del 2011 a San Calogero, l’omicidio di Domenico Campisi – il 45enne broker della cocaina (già coinvolto nell’inchiesta sul narcotraffico internazionale denominata “Decollo”) legato a doppio-filo al clan Mancuso e freddato il 17 giugno 2011 in un agguato sulla strada provinciale per Nicotera – e il ferimento il 26 maggio del 2008 di Romana Mancuso e Giovanni Rizzo. Un fatto di sangue, quest’ultimo, per il quale in primo grado sono stati assolti il padre di Emanuele Mancuso – Pantaleone – e il fratello Giuseppe. Emanuele Mancuso potrebbe conoscere molti segreti del clan per averli appresi proprio dal padre Pantaleone. La decisione di collaborare con la giustizia potrebbe assestare un colpo “mortale” alla famiglia Mancuso, sinora solo sfiorata da collaborazioni con la giustizia come quella della polacca Ewelina Pytlarz, ex moglie di Domenico Mancuso (cl. 74), cugino di Pantaleone Mancuso, alias “l’Ingegnere” (in foto) e fratello dei più noti boss Pantaleone Mancuso detto “Scarpuni” e Pino Mancuso, detto “Bandera”. Emanuele Mancuso in passato aveva anche fondato un gruppo facebook, ma lo stesso era poi stato chiuso per via degli attacchi a carabinieri, poliziotti e magistrati.
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