Autobomba di Limbadi, Gratteri: «Esternazione di potere mafioso» (VIDEO)
In seguito agli arresti dei Mancuso-Di Grillo, il procuratore capo di Catanzaro esorta i vibonesi a ribellarsi: «Non devono più sottostare al dominio mafioso, oggi siamo nelle condizioni di dare risposte sul piano giudiziario»
Le indagini che hanno portato all’esecuzione di un fermo di indiziato di delitto a carico di sei persone, componenti della famiglia Di Grillo-Mancuso di Limbadi, per l’omicidio di Matteo Vinci e il ferimento del padre Francesco, avvenuto attraverso un’autobomba piazzata sulla loro auto il 9 aprile scorso, svelano gli interessi criminali dei fermati. In particolare, gli inquirenti coordinati dalla Procura distrettuale antimafia di Catanzaro, diretta dal procuratore capo Nicola Gratteri, hanno appurato che i tutti i violenti fatti criminali perpetrati rientravano in un feroce piano estorsivo dei Mancuro ai danni dei Vinci, in atto fin dal 2014 e finalizzato all’acquisizione della vasta proprietà terriera dei Vinci, confinante con quella dei Mancuso, determinati all’acquisizione ad ogni costo della proprietà tanto da ricorrere a qualsiasi mezzo, tra cui l’eliminazione fisica di tutti coloro che avessero intralciato il loro disegno criminale.
Nel complesso, le attività svolte hanno consentito, durante la fase investigativa, di procedere all’arresto per detenzione di armi e munizioni di due degli odierni fermati, Domenico Di Grillo nell’immediatezza dell’attentato perché trovato in possesso di un fucile da caccia con 40 proiettili, e Rosaria Mancuso con una pistola ed un fucile automatico con oltre 200 proiettili di vario calibro, armi nell’effettiva disponibilità degli arrestati. All’esito dell’attività di questa notte, sono stati raggiunti dal provvedimento di fermo anche le due figlie della coppia, Lucia, 29 anni, e Rosina, 37 anni, nonché il genero Vito Barbara, 28 anni, e Salvatore Mancuso, 46 anni, fratello di Rosaria, a vario titolo interessati oltre all’azione del 9 aprile, anche al tentativo di omicidio perpetrato ai danni di Francesco Vinci il 30 ottobre 2017 quando lo stesso era stato vittima, sotto la minaccia di una pistola, di una feroce aggressione con un forcone e un’ascia.
A fare il punto in conferenza stampa anche il procuratore Nicola Gratteri. «Ci troviamo dinanzi all’esternazione di un potere mafioso sul territorio, non è una semplice lite fra vicini – ha detto il procuratore di Catanzaro -. Quel terreno doveva essere dei Mancuso, con le buone o con le cattive. Per noi era importante risolvere questo caso e ciò è stato possibile grazie ad una Polizia giudiziaria di qualità ed i risultati si vedono. In questa indagine ha lavorato il colonnello Mucci del Ros insieme agli uomini del Comando provinciale di Vibo». Da Gratteri un’esortazione ad una reazione collettiva alla pervasività mafiosa. «I vibonesi – ha detto – non devono sottostare al dominio di queste famiglie mafiose, ci sono le condizioni affinché la comunità si ribelli e denunci. Noi siamo nelle condizioni di dare risposte sul piano giudiziario. A Vibo – ha concluso – c`è la più alta percentuale di massoneria deviata e insieme mafiosa d’Italia, ma anche qui, in questo territorio, qualcosa sta cambiando in positivo. La gente deve convincersi che l’aria sta cambiando».
È stato poi il comandante provinciale dell’Arma Gianfilippo Magro a mettere in evidenza gli sforzi investigativi condotti «in sinergia fra Ros di Catanzaro e Nucleo Investigativo Vibo». Quindi, il colonnello ha ricostruito la dinamica dell’omicidio: «L’ordigno radiocomandato è stato posizionato sotto un fanale dell’auto dei Vinci ed è esploso dopo circa 80 metri. Rosaria Mancuso e il genero Vito Barbara hanno avuto un ruolo di primo piano nell’organizzazione e nell’esecuzione dell’omicidio ma le indagini puntano ad identificare altri possibili soggetti coinvolti nella vicenda». Il loro disegno criminale, ha riferito ancora Magro, era «quello di allargare la propria disponibilità dei terreni appropriandosi dei terreni dei Vinci» con un’azione intimidatoria avviata fin dal 2014.
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