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Omicidio Lacaria nelle Serre Vibonesi: un debito della vittima alla base del delitto

Ecco le motivazioni della sentenza che ha condannato Giuseppe Zangari per l'omicidio del commercialista di Spadola commesso il 27 febbraio 2017

Omicidio Lacaria nelle Serre Vibonesi: un debito della vittima alla base del delitto

Sono state depositate dal gup del Tribunale di Vibo Valentia, Gabriella Lupoli, le motivazioni della sentenza di condanna a 17 anni e 4 mesi di reclusione nei confronti di Giuseppe Zangari, 47 anni di Spadola, accusato dell’omicidio volontario del commercialista Bruno Lacaria, 52enne suo amico, concittadino e compare d’anello. Il pubblico ministero della Procura di Vibo Valentia, Filomena Aliberti, al termine della requisitoria aveva chiesto 21 anni di carcere. La sentenza  arriva dopo un processo con rito abbreviato (che ha consentito uno sconto di pena pari ad un terzo) che ha riconosciuto le attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti. L’imputato (difeso dagli avvocati Giancarlo Pittelli ed Enzo Galeota) è stato altresì condannato a tre anni di libertà vigilata ed al pagamento di una provvisionale di 25mila euro in favore delle parti civili. Il resto del risarcimento dei danni avverrà in sede civile dove a rappresentare i familiari della vittima ci sono gli avvocati Serravalle, Mercurio e Barbara.

Per il giudice, l’autoconfessione del delitto da parte di Giuseppe Zangari si rivela “di straordinaria portata dimostrativa e nel suo racconto risaltano nettamente gli elementi sostanziali ed essenziali della condotta tali da consentirne di apprezzarne la genuinità, veridicità e attendibilità in chiave univocamente autoaccusatoria”. Restano nel racconto dell’imputato alcune circostanze, ritenute dal giudice “inverosimili e non meglio lumeggiate come l’essersi diretti Zangari e Lacaria in un bosco isolato di Brognaturo in contrada Lacina, con l’auto tuttavia guidata da Zangari che non si trovava minacciato con armi dalla vittima”, così come circostanza poco chiara rimane la sorte del bastone con cui Zangari ha colpito la vittima (mai ritrovato) e senza riscontro restano “i riferimenti a velate estorsioni e collegamenti della vittima con ambienti loschi”. Il giudice sottolinea che sia vittima che imputato erano persone perbene ed alla base del delitto vi era un prestito fatto da Lacaria a Zangari che non era riuscito ad onorare. Le circostanze “inverosimili e non meglio lumeggiate”, per il gip si rivelano tuttavia “secondarie, marginali, ed ininfluenti rispetto ad un contributo narrativo di straordinaria portata dimostrativa in cui risaltano nettamente gli elementi sostanziali ed essenziali della condotta tali da consentirne di apprezzarne la genuinità, veridicità e attendibilità in chiave autoaccusatoria”.  Le motivazioni della sentenza spiegano quindi che nel “febbraio-marzo 2015, l’imputato Giuseppe Zangari si era visto negare un prestito dalla sua banca che tuttavia gli aveva solo aumentato il fido da 15 a 20mila euro. Verso la fine di ottobre 2015 Zangari parla quindi di tale ostacolo a Lacaria (suo compare d’anello) il quale si propone per un prestito di 10mila euro consegnati in contanti in una bustina gialla al negozio e che venivano custoditi in casa onde fronteggiare le scadenze bancarie. Nel gennaio 2016 Bruno Lacaria gli chiede la restituzione (entro luglio 2016) della somma raddoppiata adducendo che doveva rendere conto a terzi: i rapporti tra i due si raffreddano e fino a maggio 2016 intercorrono telefonate e qualche incontro al negozio allo scopo di ricordargli l’approssimarsi della scadenza. 

A fine maggio, Zangari – ancora debitore verso Lacaria, utilizzatore sino al limite massimo del fido e contratti debiti anche verso la moglie per 7-8mila euro – avvia nella sua banca la pratica per un prestito agevolato aziendale di 40mila euro che ottiene nel giugno-luglio 2016 ed utilizzato per coprire la sovraesposizione sul fido ed estinguere i debiti con la moglie: la differenza rimane sul conto mentre accantona gli incassi aziendali riuscendo così a restituire in contanti, nel luglio 2016, l’originaria somma (10mila euro) a Lacaria il quale avrebbe richiesto ulteriori 20mila euro da corrispondere entro novembre 2016. Tali reiterate pretese restano tuttavia inevase, sicchè nel gennaio 2017 Lacaria avanzerebbe la richiesta di saldare immediatamente, cosa a cui lo Zangari è impossibilitato, poste le incessanti scadenze per fronteggiare le quali ancora una volta ricorre agli assegni della moglie (euro 2mila e 3.300)”.

Per il giudice “tali salienti passaggi trovano riscontro nelle risultanze degli accertamenti bancari restituenti una situazione economico aziendale in costante affanno che Lacaria non poteva ignorare essendo il commercialista della ditta dello Zangari. Il conto dell’imputato presentava una esposizione debitoria pari ad oltre 47mila euro nel periodo in cui si calano i fatti. Tale oggettiva ricostruzione collima nei minimi dettagli con la versione fornita dall’imputato”. Zangari sarebbe quindi rimasto sconcertato per “l’incomprensibile fermezza ed indifferenza dell’amico anche nel corso dell’ennesimo e disperato ultimo tentativo dissuasivo” che può individuarsi alla base del gesto, con conseguenti sentimenti di rabbia, profonda delusione ed impotenza che muovono Zangari a commettere il delitto. 

Nel bosco, scoppiata una lite, Zangari avrebbe afferrato un bastone colpendo ripetutamente Bruno Lacaria che si sarebbe difeso. Zangari avrebbe poi lavato l’auto in un autolavaggio di Simbario (essendo chiuso quello di Serra San Bruno per mancanza di corrente elettrica) e il giorno seguente, preso dal rimorso, ha ingerito un pesticida tentando di suicidarsi nel suo negozio per poi pentirsi subito del gesto e chiamare un amico che l’ha trasportato in ospedale. 

Bruno Lacaria era scomparso da Spadola l’8 febbraio dello scorso anno. Zangari si era poi presentato ai militari dell’Arma spontaneamente, chiedendo subito un colloquio riservato con il maresciallo Massimiliano Staglianò, alla guida del Nucleo investigativo dei carabinieri di Serra. A lui, ed al maresciallo Tommaso Casella, Giuseppe Zangari (attualmente ai domiciliari a San Sostene) ha confessato i primi particolari sul delitto di Bruno Lacaria ottenendo successivamente la presenza del pm della Procura di Vibo Valentia, Filomena Aliberti, per la prosecuzione del suo racconto.

E’ stato proprio il sostituto procuratore di Vibo ad ottenere da Zangari l’esatta indicazione del luogo in cui aveva gettato il cadavere di Bruno Lacaria, un bosco al confine fra i territori comunali di Brognaturo e Cardinale, fra le province di Vibo e Catanzaro. La stessa boscaglia dove è stato compiuto il delitto.

 

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