Il boss Pino Piromalli, il ritorno in libertà ed i legami con il Vibonese
Il ruolo del capobastone di Gioia Tauro spiegato anche da diversi collaboratori di giustizia che hanno deposto nel maxiprocesso Rinascita Scott. Il “triumvirato” con Luigi Mancuso e Nino Pesce
Vanta solidi legami anche con il Vibonese il boss Pino Piromalli, 77 anni, di Gioia Tauro, alias “Facciazza”, che è tornato in libertà dopo aver scontato la pena (22 anni) per una serie di condanne definitive. Era stato catturato dai carabinieri l’11 marzo 1999 in una vecchia casa di via Monacelli a Gioia Tauro, fuori lasciata in decadenza, ma dentro trasformata in un vero e proprio bunker. Non si era quindi allontanato troppo dal quartiere Monacelli, da sempre luogo di residenza dei vertici della famiglia Piromalli, quando si era dato alla latitanza per l’operazione antimafia denominata “Tirreno”, scattata nel giugno del 1993. Pino Piromalli, insieme ai fratelli Gioacchino (cl. ’34) ed Antonino (cl. ’40), è da tempo ritenuto la principale guida dell’omonimo casato di ‘ndrangheta fondato dagli zii Girolamo (cl. ’19), detto Mommo, deceduto a causa di un male incurabile l’11 febbraio 1979, e Giuseppe Piromalli (cl. ’21), alias “Peppino” o “Mussu Stortu”, morto il 19 febbraio 2005 a Gioia Tauro dopo tanti anni di detenzione. [Continua in basso]
I Piromalli sono stati gli artefici della trasformazione della ‘ndrangheta da mafia agricola a mafia imprenditrice, assumendo il controllo su diverse opere pubbliche, in primis il Porto di Gioia Tauro e la realizzazione (poi sfumata) del quinto centro siderurgico. Ma non hanno trascurato tutti gli altri affari, in particolare il settore della sanità, dettando la “linea” criminale a tutte le altre cosche, specie del Tirreno: dagli Alvaro di Sinopoli ai Molè di Gioia Tauro, dagli Albanese di Cittanova agli Avignone di Taurianova, dai Pesce di Rosarno ai Mancuso di Limbadi, dai De Stefano di Reggio Calabria ai Mammoliti di Castellace. Il padre dei fratelli Pino Piromalli, Gioacchino Piromalli ed Antonino Piromalli è stato ucciso negli anni ’50 in una faida con la famiglia Carlino, quest’ultima poi costretta a lasciare le proprie abitazioni prese di mira persino con fucili mitragliatori.
Della cattura di Pino Piromalli nel 1999 si parla anche nelle carte delle operazioni “Dinasty- Affari di famiglia” e “Black money” contro il clan Mancuso laddove è stato ipotizzato che a “venderlo” alle forze dell’ordine sarebbe stato il boss di Limbadi Pantaleone Mancuso, detto “Vetrinetta”, deceduto in carcere a Tolmezzo nell’ottobre del 2015. In realtà a portare i carabinieri al covo di Pino Piromalli nel 1999 a Gioia Tauro è stato un collaboratore di giustizia. [Continua in basso]
Pino Piromalli, le tre punte della Stella ed il rapporto con i Mancuso
Della caratura di Pino Piromalli ne hanno di recente parlato tre collaboratori di giustizia nel corso del maxiprocesso Rinascita Scott. Ad iniziare dall’ex padrino di Cosenza, Franco Pino, passando per Antonino Fiume, organico al clan De Stefano di Reggio Calabria. Deponendo nel febbraio scorso in video-collegamento con l’aula bunker di Lamezia Terme, i due collaboratori dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia hanno raccontato del summit convocato nel 1992 in un villaggio di Nicotera Marina per discutere della richiesta formulata alla ‘ndrangheta da Cosa Nostra di aderire alla stagione stragista dopo le stragi di Capaci e via d’Amelio in cui sono morti i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. I calabresi presenti a tale riunione avrebbero tutti sposato la linea di non partecipazione alle stragi che sarebbe stata decisa proprio da Pino Piromalli di Gioia Tauro, Antonino Pesce di Rosarno e Luigi Mancuso di Limbadi. Tali tre personaggi, secondo Cosimo Virgiglio (primo collaboratore della massomafia calabrese), rappresenterebbero dall’inizio degli anni ’90 le tre maggiori figure della ‘ndrangheta sul Tirreno calabrese. “Pino Piromalli, detto Facciazza, di Gioia Tauro, Nino Pesce detto Testuni, di Rosarno, e Luigi Mancuso di Limbadi erano i tre capi di tutta la ‘ndrangheta della zona. Erano le tre punte della Stella, una terminologia – ha ricordato il collaboratore Cosimo Virgiglio – che mi venne spiegata anche da Rocco Molè il quale ricordava come tali tre famiglie erano quelle che avevano realizzato il porto di Gioia Tauro e quindi erano superiori a tutte le altre. Delle medesime Punte delle Stelle mi parlò anche il siciliano Pippo Di Giacomo nel corso di un comune periodo di detenzione”.
Pippo Di Giacomo, anche lui collaboratore di giustizia, ha dal canto suo dichiarato nel corso del processo Rinascita Scott: “Posso affermare che in Calabria c’è una sorta di Commissione e alcune famiglie rappresentavano tutta la criminalità calabrese. Dei componenti di tale Stella, che sta al di sopra di tutti i capi-crimine, ricordo i nomi dei boss Pino Piromalli di Gioia Tauro, detto Facciazza, Franco Coco Trovato di Marcedusa ma residente in Lombardia, Luigi Mancuso di Limbadi, Peppe De Stefano e Pasquale Condello di Reggio Calabria, Giuseppe Morabito (Peppe Tiradritto) di Africo, Umberto Bellocco e Antonino Pesce di Rosarno”. [Continua in basso]
Tutti i collaboratori hanno quindi ribadito lo strettissimo legame personale fra Pino Piromalli, Luigi Mancuso ed Antonino Pesce, gli ultimi due attualmente detenuti. Pino Piromalli ha già fatto rientro nella sua Gioia Tauro proveniente dal carcere di Viterbo. Lo attendono tre anni di libertà vigilata. Ben poca cosa dopo 22 anni di ininterrotta detenzione, parte dei quali passati in regime di carcere duro (41 bis dell’ordinamento penitenziario). Liberi sono anche i suoi due fratelli (un terzo, medico oncologo, è deceduto negli scorsi anni) ed i familiari più stretti, ad eccezione del figlio Antonio alle prese con diversi procedimenti giudiziari, alcuni nati per far luce sulla frattura con i Molè costata la vita a Rocco Molè nel febbraio del 2008.
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