Rinascita Scott, Mantella fra bombe, sparatorie e pizzette
Il voto per la successione al capoclan, la “guerra” per i panini nelle scuole di Vibo, il ferimento per una relazione sentimentale interrotta, l’usura e le rapine
Diversi gli imputati del maxiprocesso Rinascita Scott sui quali si è soffermato, nel corso dell’udienza odierna, il collaboratore di giustizia Andrea Mantella rispondendo alle domande del pm Andrea Mancuso. Dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia, il collaboratore ha delineato le figure di alcuni presunti esponenti del clan Lo Bianco-Barba.
“Salvatore Lo Bianco, detto U Gniccu, è il nipote del boss Carmelo Lo Bianco, detto Sicarro. Ha commesso in prima persona l’omicidio del geologo Filippo Piccione al fine di vendicare il fratello Leoluca Lo Bianco. Il clan Lo Bianco sospettava infatti l’imprenditore Piccione per l’omicidio di Leoluca Lo Bianco. Inizialmente l’eliminazione di Piccione era stata chiesta a me – ha ricordato Mantella – ed a Francesco Scrugli, ma io all’epoca ero latitante per un altro omicidio e su suggerimento di mio cognato Niuccio Franzè declinai l’invito dei Lo Bianco. E’ stato così mandato Salvatore Lo Bianco, U Gniccu, che dopo l’omicidio ha ottenuto il grado mafioso dello sgarro. Salvatore Lo Bianco ha anche commesso l’estorsione alla ditta Arena di Vibo posizionando liquido infiammabile e cartucce. Il denaro è stato pagato attraverso la mediazione di Francesco Michelino Patania, detto Cicciobello. Salvatore Lo Bianco ha anche commesso, insieme al cugino Giuseppe Lo Bianco, una rapina alla Esso di Vibo dell’imprenditore De Lorenzo che si faceva forte – ha spiegato il collaboratore – della sua vicinanza a Pantaleone Mancuso, detto Vetrinetta. Proprio per tale vicinanza io stesso – ha riferito Andrea Mantella – non ho mai chiesto estorsioni a De Lorenzo, ma non mi sono poi opposto alla rapina alla Esso commessa da Salvatore Lo Bianco e Giuseppe Lo Bianco perché ormai avevo raggiunto su Vibo un grado di autonomia tale da potermi permettere di non rispettare più i Mancuso e quindi era giusto che pure i due Lo Bianco si prendessero il loro spazio. Salvatore Lo Bianco trafficava anche droga, mentre per altra rapina al supermercato Sisa di Vibo – ha continuato Mantella – io mi sono opposto perché tale attività commerciale era già sotto la mia protezione”. [Continua in basso]
Andrea Mantella si è poi soffermato, rispondendo alle domande del pm, sulla figura di altro imputato del maxiprocesso, ovvero Domenico Moscato, alias U Baruni. “Si tratta di un soggetto vicino ad Enzo Barba – ha spiegato il collaboratore – e si prestava a riciclare ad usura i soldi dei Barba. Enzo Barba, detto Il Musichere, insieme ai fratelli ed ai nipoti ed allo stesso Moscato, gestiva una bisca clandestina a Vibo in viale della Pace. Lì ho visto Enzo Barba ricevere degli assegni da Moscato il quale riceveva in cambio dal Muschiere i soldi liquidi da girare ad usura. Un fratello di Domenico Moscato – ha riferito ancora Mantella – si chiama invece Nicola Moscato e pure lui riceveva soldi da Enzo Barba e li girava ad usura in Piemonte”. Nicola Moscato non è indagato.
Andrea Mantella ha quindi anche oggi specificato che all’interno della famiglia Barba il capo era Enzo Barba, detto Il Musichiere, e nel suo gruppo operavano “Pino Barba, detto Pino Presa, Fortunato Ceraso, genero di Enzo Barba, e Antonio Curello il consigliere comunale”, quest’ultimo non indagato. [Continua in basso]
L’imprenditore Patania
Figura di vertice del clan Lo Bianco è stato quindi indicato Francesco Michelino Patania, detto Cicciobello, imprenditore-costruttore di Vibo Valentia detenuto proprio per Rinascita Scott. “Conosco Patania – ha raccontato il collaboratore – sin dall’adolescenza e lo portavo nella copiata mafiosa all’atto dell’affiliazione. Si tratta di un imprenditore che era funzionale alle mie esigenze e quando c’era qualche lavoro pure io incassavo una parte di soldi. Io a Patania lo rispettavo e non l’ho mai fatto toccare, proteggendolo militarmente, e mi portava sempre dalle cinque alle diecimila euro, anche tramite il figlio che ha sposato – ha spiegato Mantella – mia sorella. Ciccio Patania era vicino pure a Francesco Fortuna, detto Ciccio Pomodoro, poi ucciso a Pizzo nel 1988. Dopo tale fatto di sangue, Francesco Patania si è adeguato alle dinamiche criminali dei Lo Bianco-Barba, facendo anche finta di essere una vittima del racket rivolgendosi a me – ha raccontato il collaboratore – per mandare i miei ragazzi a posizionargli in un suo cantiere delle bottiglie incendiarie”.
La figura di Tulosai e la sparatoria a Soriano
Rispondendo alle domande del pm, Andrea Mantella si è quindi soffermato sulla figura di Salvatore Tulosai, definito dal collaboratore come “un mafioso da sempre, cognato di Rosario Pugliese, detto Cassarola, affiliato al clan Lo Bianco-Barba e dedito all’usura con Nato Mantino di Vibo Marina”. Una parte dei soldi provento dell’usura praticata da Tulosai, secondo il collaboratore sarebbe stata consegnata al boss Carmelo Lo Bianco, detto Piccinni. “Salvatore Tulosai negli anni ottanta è andato a sparare a Soriano a Gianni Tassone, unitamente a Paolino Lo Bianco, Giovanni Franzè e mio cognato Niuccio Franzè. Gianni Tassone di Soriano era all’epoca – ha ricordato Mantella – fidanzato con la sorella di Paolo Lo Bianco, ma poi si erano lasciati e i Lo Bianco non hanno gradito l’interruzione della relazione sentimentale e si sono armati per andare a Soriano a gambizzare Tassone. Salvatore Tulosai nell’occasione si trovava in auto insieme a Giovanni Franzè”. [Continua in basso]
Lo scontro fra Prestia e i Pugliese per le pizzette nelle scuole
Andrea Mantella ha quindi parlato dello scontro a Vibo per la distribuzione di panini e pizzette nelle scuole della città. “Era un settore – ha svelato Mantella – che interessava sia i Pugliese, detti Cassarola, che Domenico Prestia, alias Stranamore. Insieme a Rosario Pugliese operava pure Orazio Lo Bianco e in fatto di pizzette e panini nelle scuole avevano il monopolio a Vibo. Per tale motivo, Domenico Prestia, pure lui organico al clan Lo Bianco, ha messo una bomba ad un chiosco, gestito dai Pugliese, che vendeva panini nei pressi dell’istituto tecnico industriale. Per tutta risposta, i Pugliese hanno danneggiato a Vibo le vetrine della cartoleria di Prestia”.
Domenico Rubino ed il voto per il capoclan
Siamo fra il 2005 ed il 2006, poco prima dell’operazione “Nuova Alba” che risale al 2007, ed il clan Lo Bianco è alle prese con vere e proprie votazioni interne per scegliere il nuovo capoclan al posto di Carmelo Lo Bianco (cl. ’32), alias Piccinni, ormai troppo anziano. Tre gli aspiranti successori: Paolino Lo Bianco (figlio di Carmelo Lo Bianco), Filippo Catania (cognato di Carmelo Lo Bianco) e Carmelo Lo Bianco, detto Sicarro, cugino di Carmelo Lo Bianco Piccinni. In tale contesto, ad avviso del collaboratore, “Domenico Rubino, cognato di Franco Barba, ed a disposizione di Enzo Barba, portava avanti il progetto di autonomia di suo zio Carmelo Lo Bianco, detto Sicarro. Era chiaro – ha ricordato Mantella – che Domenico Rubino avrebbe votato per Sicarro, ma i voti decisivi fra i due cugini Lo Bianco erano il mio e quello di Scrugli che entrambi i cugini Carmelo Lo Bianco si contendevano”.
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