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Imponimento, Francescantonio Stillitani resta ai domiciliari: «Da vittima a colluso col clan»

La Cassazione rigetta il ricorso dei legali dell’imprenditore di Pizzo ed ex assessore regionale definendolo «manifestamente infondato»

Imponimento, Francescantonio Stillitani resta ai domiciliari: «Da vittima a colluso col clan»
L'ex assessore regionale Francescantonio Stillitani

Resta agli arresti domiciliari Francescantonio Stillitani, 68 anni, coinvolto nella maxi-inchiesta istruita dalla Dda di Catanzaro denominata Imponimento. La seconda sezione penale della Corte di Cassazione ha, infatti, rigettato il ricorso teso ad annullare il provvedimento del Tribunale del Riesame che lo scorso ottobre aveva confermato la misura cautelare. «I motivi di ricorso sono manifestamente infondati» scrivono i giudici della Suprema Corte che nella recente sentenza ritengono il ricorso inammissibile e così confermando il ruolo dell’imprenditore dapprima vittima della criminalità organizzata per poi divenirne colluso.

La gestione del villaggio turistico

Già sindaco del comune di Pizzo, consigliere regionale e poi assessore, Francescantonio Stillitani è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, estorsione continuata in concorso e concorrenza illecita aggravata. Avrebbe fatto pressioni sulla società Valtur, a cui aveva affidato la gestione di un villaggio turistico di sua proprietà, imponendo i subappalti a gente del posto di sua fiducia. «La difesa reitera, come accennato, che tale condotta fu conseguenza di pressioni e minacce di ritorsione – si legge nella sentenza -. Tesi confutata in termini logici dal giudice del Riesame sulla base di alcune considerazioni convincenti: innanzitutto le intimidazioni, a base dell’estorsione contrattuale, erano rivolte alla Valtur, responsabile verso i proprietari di eventuali danni ai beni mobili ed immobili oggetto dell’affitto del ramo di azienda, e non agli Stillitani».

I vincoli con la cosca

«Soprattutto, Tommaso Anello, al vertice della omonima cosca, intercettato, pretese che Francescantonio Stillitani si occupasse della vicenda, non già minacciandolo ma prospettando un suo generale disinteressamento per il futuro». Considerazioni che per i giudici della Corte di Cassazione rappresentano la premessa del rapporto di Stillitani con la cosca Anello-Fruci di Filadelfia. In tal senso si regge l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, «fino all’arresto di Rocco Anello avvenuto nel gennaio del 2003, gli Stillitani furono parti lese dell’imposizione perpetrata dal potere mafioso ma in seguito il rapporto mutò, continuando essi ad esaudire le richieste della cosca legate alle attività economiche svolte ma, al contempo, a richiedere e ad accettare favori e vantaggi. In tal modo usufruendo dell’organizzazione per favorire la propria azienda sul mercato».

Eliminare la concorrenza

Secondo i giudici «Stillitano continuò ad accettare le pretese del clan ma ottenendo come contropartita non soltanto quella di assicurarsi passivamente la sopravvivenza, gravata dagli oneri di protezione, ma di avvantaggiarsi al contempo del sostegno della consorteria, in contesti ben specifici e vitali per i suoi interessi». In tal senso vengono citate almeno altre due vicende sintomatiche della collusione con il clan: «L’illecita eliminazione di concorrenti dal mercato e il contributo fornito dalla cosca in occasione della candidatura di Francescantonio Stillitani alle regionali del 2005, con dinamiche analoghe a quelle emerse durante le regionali del 2010 nel corso dell’inchiesta denominata “Mammasantissima».

Le elezioni regionali

Una circostanza confermata anche dalle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia che la Corte di Cassazione ha ritenuto attendibile. In particolare, si tratta di Francesco Michienzi Francesco, ritenuto appartenente alla cosca Anello di Filadelfia. Dichiarazioni che collimano peraltro con specifici atti d’indagine e, in particolare, con gli accertamenti della Squadra mobile di Catanzaro riguardanti i soggetti che avevano ricoperto l’incarico di rappresentante della lista a sostegno proprio di Stilitani, risultati essere parenti dei maggiori esponenti della cosca Anello – Fruci o contigui alla medesima consorteria mafiosa. Nelle intercettazioni ambientali eseguite e nelle dichiarazioni rese emerge l’escamotage usato per consentire a Stillitani di ottenere un maggior numero di voti in cambio di rassicurazioni sul posto di lavoro nonché il prezzo pagato per i “voti fuori dal circondario”.

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