Vibo, da “giardino sul mare” che fu all’odierna strage di alberi: possibile che nessuno potesse essere salvato?
Tagliare e non pensarci più è la soluzione più semplice. Ma questo è un approccio non più ammissibile. Il Comune avvii una grande campagna di rinverdimento della città riservando cura e rispetto alle piante
Prima è toccato al Cedro dell’Himalaya di piazza Municipio, poi al Pino domestico di viale Affaccio, entrambi prima inclinati o caduti e poi segati, in coincidenza con alcuni lavori di rifacimento della pavimentazione. Ma in precedenza c’era stata la drastica potatura dei pini davanti all’Istituto d’Arte, mentre adesso altri pini, praticamente tutti quelli di viale Affaccio, sono finiti sotto i colpi delle motoseghe sulla base di una perizia di un tecnico che ne avrebbe accertato la pericolosità, con conseguente condanna a morte. Lungi da noi il voler anteporre la tutela di un albero all’incolumità delle persone o danni alle cose, per cui siamo i primi a chiedere che, se ci sono situazioni di pericolo, queste debbano essere accuratamente accertate e periziate. Ma la domanda che molti cittadini si pongono sorge spontanea: possibile che tutti, proprio tutti quegli alberi, minacciassero la pubblica sicurezza e che nessuno fosse in salute e in grado di restare in piedi? E se così fosse, di chi la responsabilità? Secondo lo stesso agronomo autore della perizia, quei pini in passato avrebbero subìto degli interventi di potatura che li avrebbero danneggiati; ebbene, sta di fatto che tutte le volte in cui, con tutte le amministrazioni che si sono succedute negli anni, cittadini e noi abbiamo protestato contro gli stessi interventi di potatura giudicati a dir poco troppo drastici, ci siamo sentiti rispondere che i tagli erano stati effettuati a regola d’arte, oppure che, come nel caso dei lecci: “Tanto poi quegli alberi rigettano”. Evidentemente c’è qualcosa che non quadra: o in passato hanno sbagliato le ditte incaricate dal comune, oppure (“tertium non datur”) in questo caso ha sbagliato l’agronomo.
La memoria mi riporta indietro negli anni, quando, in seguito alla caduta di un solo albero in piazza Annarumma, si decise, non so in base a quale riscontro tecnico, di fare tabula rasa. Anche allora erano tutti pericolanti? E allora, siccome non esiste il rischio zero in nessun campo, in teoria, per evitare che un albero caschi giù, in tutte le città del mondo, gli alberi dovrebbero scomparire e, al posto di viali verdi e grandi parchi pubblici, dovrebbero spuntare parcheggi assolati, cemento e catrame, dimenticando che parte dell’ossigeno che ci riempie i polmoni 23000 volte al giorno, lo dobbiamo proprio agli alberi.
Il rischio che si corre, insomma, è che si continui a optare per la soluzione più semplice (e magari più popolare), cioè quella “finale”, anziché impedire in tempo che si creino quelle condizioni che determinano dei danni all’albero, che nell’immediatezza (vedi lesioni alle radici) o più in là nel tempo (vedi potature selvagge), ne possono compromettere la stabilità o la sopravvivenza fino a decretarne la morte.
Dopo tutto lo stesso D.M. Ambiente del 10 marzo 2020 “Criteri ambientali minimi per il servizio di gestione del verde pubblico e la fornitura di prodotti per la cura del verde”, specifica che “l’aggiudicatario deve evitare di praticare la capitozzatura, la cimatura e la potatura drastica perché indeboliscono gli alberi e possono creare nel tempo situazioni di instabilità che generano altresì ulteriori costi di gestione”.
Il fatto poi che si pianti un altro albero al posto di quello abbattuto, sebbene sempre meglio che niente, non può però avere lo stesso valore in termini di “servizi” offerti dal nuovo elemento (ossigeno prodotto, CO2 assorbita, ombra, polveri trattenute, effetto estetico cc.): un conto è un albero di ottanta anni, altro quello di un alberello che, se tutto va bene (il che non è scontato), ci metterà altri ottanta anni pe raggiungere le dimensioni del defunto.
Vogliamo ancora sperare che l’attuale amministrazione possa mettere finalmente ordine in tutta la materia disciplinando in modo rigoroso gli interventi che riguardano il sempre più striminzito patrimonio arboreo e che, soprattutto, dia avvio a una grande campagna di rinverdimento della città, trovando le risorse necessarie e adottando come criterio generale quello di piantare gli alberi giusti nel posto adatto. Solo così ci saranno meno rischi per i cittadini, ma più verde per il loro benessere e più bellezza per una città che sembra averla persa da tempo.
* Wwf Vibo Valentia/Vallata dello Stilaro