Le tre piaghe di Vibo Marina: Porto, Italcementi e siti industriali dismessi
I principali ostacoli che condizionano pesantemente lo sviluppo del territorio costiero e delle Marinate
Vibo Marina e le altre frazioni costiere pagano ancora oggi le scelte sbagliate o, peggio, le non scelte dei decenni passati. Un territorio dalle enormi potenzialità si è trovato penalizzato dall’assenza completa di attenzione e di interventi mirati alla costruzione di un progetto strategico in grado di definire in maniera concreta il futuro di questa importantissima porzione del territorio comunale. Il passato non si può cambiare, ma il futuro si può costruire e per fare questo bisogna affrontare e risolvere i tre principali problemi: porto, ex cementificio, siti industriali dismessi. [Continua dopo la pubblicità]
Ed è proprio dal nodo, finora inestricabile, legato al recupero dell’area dell’ex cementificio, sul quale sono stati versati fiumi d’inchiostro e mari di parole, che l’amministrazione in carica sembra voler iniziare. La recente diffida inviata all’attuale proprietà del sito, a cui ha fatto seguito un vertice tra i rappresentanti dell’esecutivo comunale e quelli aziendali, può essere considerato un primo passo, un sasso gettato per smuovere le acque di una situazione stagnante da troppi anni. Riconvertire l’area Italcementi sarà la sfida più importante degli anni a venire. Riuscire a dare una nuova vita all’ex cementificio sarà certamente difficile, con il rischio di vedere arenarsi qualsiasi progetto. Per evitare di ricadere nell’impasse occorrerà investire del problema non solo l’Italcementi, ma anche le istituzioni: Regione, Provincia, Comune, per la redazione di un masterplan che individui soluzioni per la riconversione dell’area industriale. Il percorso di riqualificazione potrà avvenire anche in lotti funzionali e con tempistiche diverse. Uno degli obiettivi da perseguire da parte dell’amministrazione comunale dovrebbe essere quello di pervenire ad un’intesa con Italcementi in cui quest’ultima s’impegna a redigere il masterplan a proprie spese presentandolo alle amministrazioni pubbliche che provvederanno di conseguenza alla verifica delle proposte. In alternativa si potrebbe anche ricercare un accordo con la società Heidelberg, attuale proprietaria, sull’esempio di quanto avvenuto per altri siti: Italcementi s’impegna a demolire la struttura e a bonificare l’area, cedendola poi a titolo oneroso, e al suo posto potrebbero sorgere strutture ricettive, abitative, sociali e soprattutto verde pubblico.
La seconda “piaga”, anch’essa una “vexata quaestio”, è da individuare nel mancato sviluppo della struttura portuale. Occorre affrontare, ma questa volta con la dovuta convinzione, le problematiche che impediscono il rilancio del porto di Vibo Marina che, in base alla recente legge di riforma dei porti, era stata inserita nel sistema di autorità portuale del Tirreno meridionale con sede a Gioia Tauro. E’ necessario aprire un dialogo con l’Authority, anche se attualmente commissariata in attesa della nomina del presidente, al fine di capire se esiste un progetto di rilancio per il porto di Vibo Marina, nonché avviare contatti anche con il Ministero al quale far presente i principali interventi di natura infrastrutturale di cui ha bisogno lo scalo. Le recenti polemiche indirizzate nei confronti di quest’ultimo per il suo mancato intervento sull’infrastruttura portuale rischiano di far perdere di vista il vero problema del porto vibonese che non è di natura infrastrutturale, o meglio non solo, ma è soprattutto di natura gestionale e di programmazione, compiti che la legge di riforma attribuisce in via esclusiva all’Authority. Il porto andrebbe visto non come struttura statica, ma come realtà economica dinamica, capace di generare ricchezza. Se le banchine sono desolatamente vuote, escludendo il traffico petrolifero, il motivo non può essere ascrivibile all’inadeguatezza infrastrutturale, ma va ricercato nell’incapacità o impossibilità di trovare “clienti” che si servano del porto vibonese per le loro esigenze. Un’azione proficua da parte degli organi regionali dovrebbe invece essere quella di fare pressione sul Ministero per le Infrastrutture e i Trasporti affinché venga data finalmente attuazione alla legge di riforma della portualità anche il Calabria, in quanto essa è l’unica regione a non avere ancora un’Autorità Portuale pienamente operativa. Ciò servirebbe a fare chiarezza per i porti calabresi in modo da individuare e tracciare le loro linee di sviluppo. Per il porto di Vibo Marina sarebbe opportuno stabilire, in via definitiva, quale debba essere la sua vocazione che, con evidenza, è dettata dalla stessa natura dei luoghi, la quale indica come questa vocazione non può essere che quella turistica e di collegamenti marittimi come, ad esempio, servizi di collegamenti stabili con le Isole Eolie, ma anche nell’ambito del sistema delle cosiddette “autostrade del mare”, con la Sicilia e con Napoli, città che storicamente ha individuato in Vibo Marina il porto più importante del Basso Tirreno e alla quale si potrebbe guardare nel caso in cui dovesse permanere l’incertezza che ancora avvolge l’Autorità Portuale calabrese. La città non si può permettere di attendere oltre e guardare il suo porto, storicamente uno dei primi porti calabresi, perdere progressivamente ma inesorabilmente importanza.
Il terzo punto (o la terza piaga) è quello connesso al recupero delle aree industriali dismesse. Il territorio costiero è ormai disseminato di cimiteri industriali che costituiscono veri e propri monumenti al degrado. Non è ipotizzabile un futuro in chiave turistica se non verranno prima recuperate e valorizzate le aree dei siti dismessi. Anche questo un macigno che grava sul futuro della cittadina portuale e delle altre frazioni costiere. Sono sfide importanti, che si possono vincere soltanto a condizione che esista una tenace volontà da parte della politica. Risolvere questi problemi significa costruire concrete possibilità di crescita non soltanto per Vibo Marina ma anche per l’intero territorio comunale.
Giuseppe Addesi
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