giovedì,Novembre 21 2024

«Quelle prove Invalsi così offensive rispetto all’autonomia scolastica»

Intervento del dirigente scolastico Alberto Capria: «Il futuro della scuola è qualcosa che ancora deve essere scritto, ma che va attentamente preparato, mi permetto di rammentarlo al Governo»

«Quelle prove Invalsi così offensive rispetto all’autonomia scolastica»

Riceviamo e pubblichiamo un intervento di Alberto Capria, dirigente scolastico dell’istituto comprensivo “III Circolo – De Amicis” di Vibo Valentia

“La paura, fra i demoni che si annidano nella società, è probabilmente il più sinistro; diventa però devastante se associato a mancanza di visione, insicurezza del presente ed incertezza del futuro”. Con la consueta lucidità Zygmunt Bauman mette a fuoco il problema dei problemi, che attanaglia noi adulti e ancor di più i giovani: studenti universitari o alunni che siano. Se c’è un’istituzione che all’interno delle sue pur “cadùche” aule (e nell’angustia di spazi la cui conformazione non cambierà con il Pnrr, se per spazi intendiamo innovativi “ambienti e scenari di apprendimento” e non “stanze” rimodernate e ritinteggiate), per sua natura vive nel presente guardando al futuro, questa è certamente la scuola: intesa come istituzione non come ufficio. [Continua in basso]

Con la sua innata passione, con i suoi allievi – nostri effettivi “datori di lavoro” – e con i giusti calibrati tempi, incompatibili con ciclici test standard che ritornano, puntuali come l’abete a Natale: campi arati per i tanti millantatori della scuola, che molto più utilmente ai “campi” dovrebbero tornare. Le prove standardizzate: offensive rispetto all’autonomia scolastica, ritornate alla cronaca per i finanziamenti dell’azione 1.4 del Pnrr per i quali si profila – ahinoi – un ruolo egemonico di Invalsi e per i 100 e lode (troppi, pochi? Chi lo stabilisce?) che sarebbero ingiustificati perché non suffragati da analoga valutazione nei test Invalsi; la misconoscenza dei problemi della scuola è lampante. Si è sentito discettare di perdite educative, disuguaglianze crescenti e dispersione scolastica… implicita ed esplicita (semplici esercizi lessicali). Se si volesse davvero incidere sulla stessa, urgerebbero interventi sinergici di agenzie ed istituzioni – regionali e territoriali – attuati a più livelli e da più “attori” con una costante ricerca di un nuovo protagonismo degli studenti. A poche settimane dal netto responso elettorale, una riflessione sulla salute del sistema d’istruzione è d’obbligo; necesse est separare il grano (la scuola) dal loglio (i test standardizzati ed il peso dato alle stesse nell’architettura della scuola disegnata da una gestione ministeriale già scaduta).

Alessia Mattei, dell’area prove Invalsi, sostiene che le prove hanno “ampio tasso di partecipazione, sono parte del naturale percorso didattico, mirano al miglioramento della scuola”. Non scherziamo: il tasso di partecipazione è alto perché sono di fatto obbligatorie; non fanno parte di un “naturale percorso didattico” se è vero che molte scuole si affannano – scioccamente – ad allenarsi alle prove; se avessero inciso sul miglioramento della scuola, avremmo avuto esiti diversi (“alcune delle criticità riscontrate quest’anno si ritrovano già nei risultati di dieci anni fa”: così Roberto Ricci dell’Invalsi). Per “misurare” realtà scolastiche autonome, rese ancor più disomogenee dalla pandemia, si fa ricorso a test standardizzati: scelta coerente!

Dalle linee guida illustrate dall’ex ministro Bianchi, dagli architetti Boeri e Zucchi, da Andrea Gavosto – Fondazione Agnelli – e da Luisa Ingaramo – Compagnia di San Paolo – (qualcuno che conoscesse davvero la scuola era, ovviamente, superfluo), emerge una generalizzazione dei test – cui prodest? – con Invalsi preponderante nella formazione dei docenti e con un ruolo “guida” nella spesa dei fondi del Pnrr, destino di istituti scolastici legato agli esiti dei test degli studenti. Mentre nel resto dei paesi Ocse si riflette sull’utilità di prove standardizzate, noi ci impegniamo a mostrarne l’ineluttabilità; anche se distanti anni luce da una valutazione formativa, l’unica importante in una scuola che valuti percorsi didattici di studenti, non di partecipanti ad “Affari tuoi”.

Due i concreti rischi che corriamo: il primo è di illuderci che il Piano nazionale di ripresa e resilienza – con l’abbondanza di risorse a disposizione – possa da solo risolvere tutti i problemi: con il ruolo preponderante di Invalsi assegnato non si capisce bene a che titolo e senza un “progetto di scuola” futura, serio realizzabile e senza caratteristiche di “svolta epocale”. Il secondo, forse più grave del precedente – con scuole che “allenano” gli allievi alla somministrazione dei test, con concorsi docenti/dirigenti che prevedono nella prova preselettiva 100 domande in 100 minuti stile quiz TV (quando al contrario scuola, istruzione, formazione dovrebbero avere tempi distesi perché, come diceva Edgard Morin “ la fretta non aiuta il pensiero e la riflessione, né consente la rielaborazione di quel che si è imparato”) – è di alimentare una generazione avvezza a un documento word fatto di caselline su cui cliccare una X , mentre un timer scandisce lo scorrere del tempo; in grado di affrontare qualche test rispondendo inesorabilmente di getto, decidendo senza pensare, poco pronta a trovare giuste soluzioni. Il futuro della scuola è qualcosa che ancora deve essere scritto, ma che va attentamente preparato; mi permetto di rammentarlo al Governo che sta per insediarsi, invitandolo alla necessaria lungimiranza nelle scelte di giusti percorsi (e di competenti persone). Ma forse chiedo troppo.

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