«In Calabria si nutre avversione: si preferisce “fare la festa” agli alberi»
Intervento di Pino Paolillo (Wwf): «Pensare che una legge dello Stato era stata intitolata “Un albero per ogni nato”, ma il senso era quello di piantarli, non di tagliarli»
Riceviamo e pubblichiamo un intervento di Pino Paolillo, responsabile del settore Conservazione del Wwf-Calabria.
Può sembrare strano, ma c’è un posto dove si nutre un’avversione viscerale nei confronti degli esseri più inermi, silenziosi e generosi del mondo: gli alberi. Eppure ai bambini delle elementari si insegna che bisogna rispettarli (purché rimangano confinati nelle illustrazioni dei libri), si fanno fare ricerche su internet e in qualche caso, per loro, si organizza una festa. In Calabria invece si preferisce “fare la festa” agli alberi. E pensare che una legge dello Stato era stata intitolata “Un albero per ogni nato”, ma il senso era quello di piantarli, non di tagliarli, perché in tal caso il tasso di natalità della regione sembrerebbe nettamente in crescita. Auspicabile dunque una maggiore morigeratezza. A sud del Pollino la fisiologia vegetale sembra funzionare all’incontrario: qui le piante “tolgono l’aria”, sottraggono prezioso ossigeno e producono anidride carbonica, provocano frane e smottamenti, insudiciano il terreno con i loro rifiuti (foglie, frutti), creano fastidiose zone d’ombra impedendo alle automobili di ricevere quei raggi solari che rendono gradevoli gli abitacoli soprattutto durante i mesi estivi. Per non parlare poi dei danni che arrecano ai marciapiedi! Per cui, per mettere quattro mattonelle nuove, è giusto buttare giù un patriarca di cento anni. [Continua in basso]
Ma non è tutto: gli alberi nascondono, coprono, limitano l’attività più amata dal popolo calabrese curioso ed esibizionista: guardare ed essere guardati, sapere degli altri e far sapere agli altri di sé. Dalla nascita al cimitero. In una regione dove ognuno “mira ed è mirato e in cor s’allegra”, dove tutto si mette in mostra, dove, se fosse possibile, si gioirebbe pure del proprio funerale come momento di protagonismo, un elemento che crea separazione, che impedisce all’occhio di spaziare sulla strada sottostante o nella casa di fronte, non può che essere osteggiato. C’è chi ha protestato perché non si vedeva l’insegna o l’automobile sotto casa e persino chi, sempre a causa degli alberi, non poteva salutare la dirimpettaia. Sempre in Calabria poi gli psicanalisti hanno dovuto coniare un nuovo termine per descrivere la sindrome depressiva che colpisce una buona parte della popolazione: la dendrofobia (dal greco dendròs, albero e phobia, timore). Non passerà molto che i medici, per debellare il “male oscuro” saranno costretti a prescrivere: “L’abbattimento di elementi arborei nel raggio di un km e soggiorno in zone desertiche”. E chissà che con questa cura non torni la gioia e la voglia di vivere.
Volete mettere il frenetico, ma vitale fluire della vita cittadina con suoi rumori, i salutari gas di scarico, le scoppiettanti marmitte, le impennate acrobatiche, il vivace andirivieni di massaie e le file di automobili, con il cupo colore di immobili e resinosi Pini “scagliosi ed irti”? Tanto, di questi tempi gli innamorati passeggiano teneramente nei centri commerciali e se qualcuno andasse a sentire “la pioggia nel pineto” lo prenderebbero per scemo. Meglio i cd ad alto volume nell’auto presa a rate.
Eppure il taglio degli alberi o la loro mutilazione hanno motivazioni molto più serie: c’è chi è pronto a giurare che tutti gli alberi del proprio paese siano malati o pericolanti. O meglio “potenzialmente pericolanti”. E chi può negare che una giornata di scirocco o di maestrale non possa schiantare un ramo o un fusto intero? Ergo, via libera alle motoseghe, perché “potenzialmente” tutto può accadere. Bisognerebbe consigliarlo pure al sindaco Gualtieri: quei vecchi Platani lungo il Tevere o i Pini tanto cari a Respighi rappresentano un pericolo per la gente capitolina, per cui una bella “pulizia” delle strade e delle ville romane non sarebbe male. Quanto a Tivoli non si capisce perché non chiudano Villa d’Este per inagibilità, con quei Lecci decrepiti che minacciano migliaia di visitatori. Peccato che sia un po’ più costoso, ma tante case dei centri storici andrebbero abbattute in quanto “potenzialmente pericolanti” in caso di terremoto, ma le case hanno un legittimo proprietario, non sono di nessuno come gli alberi o le panchine. Altrove si dice che il verde abbellisce, che accresce la qualità della vita, ma qui in Calabria il concetto di bello risulta sconosciuto, estraneo alla nostra mentalità: basta guardare come è stata massacrata la regione negli ultimi decenni. Ma in fondo, se davvero fare politica significa rispondere alle esigenze dei cittadini, tagliateli tutti, così li farete felici e chissà che non ci scappi qualche voto in più. Per le ricerche dei nostri figli, basta collegarsi ad Internet: ci sono bellissime foto di alberi. E non tolgono l’aria.