Francesco Prestia Lamberti, breve trattato di una morte
A poco più di un mese dall’efferato omicidio del sedicenne di Mileto, la scrittrice Giusy Staropoli Calafati riflette su una tragedia che deve servire a monito a tutti, una tragedia che non va dimenticata
Da qualche giorno ormai non sento più nulla. Eppure i giovani hanno bisogno di sentirsi dire le cose più volte. Tante volte. Sempre. Hanno bisogno che gli si ricordi che la vita è bella. E come la vita di certi come loro è andata a finire. E come la loro e quella di molti altri potrebbe essere salvata. Allora parliamone ancora. Un’altra volta. Di cosa? Di Francesco. Non dimentichiamolo tanto in fretta. Raccontiamolo ancora. Diciamo un’altra volta di lui per non dimenticare noi stessi. I nostri giovani. Quelli che oggi a Mileto e chissà dove, dovranno supplire la sua assenza. Ammesso che l’assenza di un giovane così giovane, possa essere supplita.
A sedici anni probabilmente hai già una vita, un sogno, una storia da raccontare. Un futuro che immagini e tanta voglia di amare. E non sono tanti, ma non sono neanche pochi, sedici anni. Non sono tanti per dire d’aver vissuto abbastanza, e non sono pochi per avere tanti amici di cui innamorarsi. Con cui andare alla villetta a fumare, con cui confidarsi un bacio d’amore. Tanti amici con cui scambiarsi i “like” su Facebook, o condividere foto su Instagram. Perché a sedici anni la vita si nutre d’amici e d’amore. Di avventure, pizza e birra. Scuola e foto. “Salate” di gruppo e “din don dan” adolescenziali. E cresce, si gonfia, produce, affascina e rendi ribelli. Belli, anzi bellissimi. Ovunque si nasce, ovunque si cresce. Al Nord e al Sud. In Europa o in Calabria. Nell’Africa o all’America.
A sedici anni, a Mileto, Francesco, Ciccio, o Francé (chiamatelo come volete voi, purché lo chiamate), ha una storia da raccontare. E aspetta di non esserci più per farlo. Perché Francesco, nel Cocito del profondo Sud, alla fine di maggio, prima del tepore di giugno, nella “mariana simana”, all’ora ferma della sera, viene ammazzato. Di prescia, all’intrasatta. E poi, dopo l’agguato, lasciato giacere, come i briganti, i ribelli, gli sbilenchi foresti, ai piedi di un ulivo, sconsacrato dalla bestialità dell’ira dell’omicida, con le mani ancora adolescenti in tasca e senza più la vita. La sua, che contava sedici anni appunto, corrotta, rotta, distrutta, fatta “pezza pezza”, dal pistolero che di anni ne ha quindici e Francesco lo finisce con due colpi diretti rispettivamente alla nuca e al petto. Che se già lo chiami: Francè, Francè – lui non risponde più.
Ma a quindici e sedici anni, gli scontri non dovrebbero essere altro che scazzottate di ruga e subito dopo “mignolino mignoletto” e pace fatta. Eppure nell’epoca degli iPad, degli smartphone, dei social, tutto accade. Un volta tutto era possibile solo a Dio, ora che il progresso aumenta e la tecnologia sbanca invece, tutto è possibile agli uomini. Ai giovani, che per una merda calpestata prima o dopo, sì, non si rispettano più.
Qualche giorno prima di Francesco, a pochi passi da Mileto, è salita agli onori di Dio, Stefania, 20 anni. Nessuna pistola stavolta. Solo tre anni traviati dal cancro. Prima di morire il suo testamento: “Vorrei che i ragazzi imparassero che il tempo è prezioso, non bisogna sprecarlo inutilmente”.
Invece accade che: “Mentre gli uomini scherzano sulla morte, i ragazzi si uccidono”. (Corrado Alvaro, Ultimo diario)
*Scrittrice
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