sabato,Novembre 23 2024

Paura e delirio a Vibo Violenza

Adesso l’escalation criminale degli ultimi mesi si sta facendo davvero pesante, con un sottobosco di microcriminalità che non risparmia niente e nessuno. Furti, rapine, appostamenti da far-west.

Paura e delirio a Vibo Violenza

La provincia di Vibo Valentia si scopre improvvisamente fragile e insicura. Sono lontani quei tempi in cui si diceva che “al Sud si poteva stare con le porte aperte”, furti di bestiame a parte. Adesso l’escalation criminale degli ultimi mesi si sta facendo davvero pesante, con un sottobosco di microcriminalità che non risparmia niente e nessuno. Furti, rapine, appostamenti da far-west. Non roba da mafia, ma vere e proprie scorribande di anonimi ladruncoli senza scrupolo, pronti a fare del male per un pugno di euro.

L’ultimo episodio è quello avvenuto nella serata di ieri ai danni di un’anziana signora di Dinami. I malviventi, entrati in casa sua, non trovando nulla o quasi nella tasche della povera vittima hanno avuto il coraggio di massacrarla di botte. Questo episodio è sintomatico. La pace è finita e la violenza diventa quasi quotidiana. Buona parte del territorio è in preda dell’anarchia più totale, con uno Stato che – almeno fino ad oggi – non riesce a fronteggiare questa emergenza, preferendo forse concentrarsi su situazioni certamente più importanti, come la ‘ndrangheta, ma lasciando terreno libero a fatti altrettanto gravi che toccano molto da vicino la società civile. Infatti, degli innumerevoli episodi avvenuti fino ad oggi, nemmeno un delinquente è stato assicurato alla giustizia. Di sicuro c’è che le forze dell’ordine sono sotto organico da ormai diverso tempo e chiaramente non si è in grado di pattugliare capillarmente l’intera provincia. E si sono rivelate pure vane le parole dette dal ministro degli Interni Angelino Alfano, quando l’anno scorso aveva istituito un nuovo piano anti-ndrangheta, promettendo l’arrivo in Calabria di 900 militari in più, che sicuramente sarebbero servite anche a dare più sicurezza. Cosa che ancora non è avvenuta.

Tra i tanti episodi avvenuti in questi mesi, si ricorderà certamente quello di Ferragosto a Monte Poro, quando in un noto ristorante della zona alcuni uomini incappucciati e armati sono entrati nel locale pieno di gente portando a termine una rapina “vecchia scuola”. Per non parlare poi di un’altra rapina fatti pochi giorni dopo nella stessa zona ai danni di un caseificio di Mesiano, oppure la storia dell’ambulante di San Calogero che ritornando a casa ha dovuto subire l’agguato – fortunatamente andato a male – di alcuni sconosciuti appostatisi tra le buie strade periferiche della cittadina. C’è anche l’assalto al portavalori in uscita dalla posta di Sorianello nel marzo del 2015 e altri episodi di violenza nella zona delle Preserre.

Quindi, a voler tracciare una mappatura delle zone “calde” della provincia, ci sono alcune aree ben definite dove confluiscono tutta una serie di azioni di microcriminalità: l’area del Poro e l’area delle Preserre. E forse non è nemmeno un caso, vista la loro “decentralità” con i centri più grandi e la loro contiguità sia con la zona della piana di Gioia Tauro, da sempre considerata covo di “cani sciolti”, che con i luoghi più delicati sotto il profilo della gestione mafiosa. E le recenti operazioni di polizia, con arresti e rastrellamenti vari, tra cui gli esponenti e gli affiliati delle famiglie Mancuso da una parte e Emanuele dall’altra, più la decapitazione del clan dei Piscopisani e dei Patania di Stefanaconi, non fanno altro che porre ulteriormente l’accento su una questione troppo spesso sottovalutata, ovvero quella del cosiddetto “contante liquido” da utilizzare – chi lo sa? – per pagare avvocati, per mantenere le famiglie dei detenuti, o magari più semplicemente per mantenere il controllo del territorio terrorizzando la gente.

Ma, al di là dei teoremi, sono i fatti che contano. E il bollettino inizia a farsi pesante ogni giorno di più. 

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