Guardie mediche, Loredana Pilegi (Pd e ind.): «Dimenticati i medici»
Evitare la chiusura delle guardie mediche per salvaguardare il lavoro di decine di professionisti che svolgono il loro compito tra mille difficoltà.
Il consigliere comunale di Vibo Valentia stigmatizza i termini del dibattito pubblico sviluppatosi nelle ultime settimane intorno alla riorganizzazione delle guardie mediche. Questo perché, a suo dire, nei vari interventi «nulla si è detto sul lavoro svolto dai medici di guardia, con amore e dedizione tutte le notti».
«Un lavoro ingrato quello dei medici di guardia – approfondisce -, di cui mi onoro di aver fatto parte per 13 anni della mia vita professionale. Quando la maggior parte dei lavoratori torna a casa, si comincia a lavorare. Alle 20 si arriva in ambulatorio, quasi sempre trovi gente ad aspettarti, ansiosa per la febbre del bambino che non passa, per quel dolore strano che non si sa cosa sia; e allora si parte, si va a visitare, a casa, entrando così nelle loro intimità familiari, e creando quell’amalgama di affetto ed insieme di rispetto per il medico, così come lo ritroviamo nei racconti dei nostri nonni».
In quegli ambulatori, «quasi sempre allocati in stanze del Comune o di proprietà comunale», che solo per «merito del medico di guardia hanno acquistato, nel tempo, dignità di luoghi dispensatori di salute. Eppure – aggiunge – nonostante tutto questo, compreso il poco gratificante compenso economico (lo stipendio dei medici incide per neanche l’1% sulla spesa sanitaria), ci dicono che le postazioni di guardia medica sono in eccesso (poco ci manca che dicano inutili) perché una legge nazionale pone il limite di una postazione ogni 7.500 abitanti, non considerano che nel nostro territorio (vedi S. Nicola da Crissa, Monterosso, Polia e Capistrano) l’ottocentesimo abitante è residente nella montagna, con tutto quello che comporta, in fatto di tempistica, recarsi a fare una visita domiciliare».
Ecco, quindi, che a parere del consigliere comunale d’opposizione «la razionalizzazione territoriale si conclude sempre con la soppressione delle postazioni, come se questo fosse il toccasana per il risanamento del buco milionario di cui soffre tutta la sanità calabrese; poi, che tutti gli altri servizi contemplati dalla legge, come la presenza di Ucp (Unità di cure primarie) o le Aft (Aggregazioni funzionali territoriali), non siano state fatte, questo poco importa».
Non secondaria sarebbe «la disoccupazione medica che seguirebbe a tale vicenda e che, sicuramente, non farebbe bene ad un territorio come quello vibonese già ampiamente flagellato da questa piaga». Non guasterebbe, aggiunge infine, ricordarsi che «prima di essere medici o amministratori, siamo soprattutto persone, utenti di quel servizio sanitario unico al mondo che ci consente di arrivare a ragguardevoli età proprio in virtù del fatto di poter accedere in maniera paritaria alla prestazione medica, e che, qualche volta, riesce anche a salvarci anche la vita. E scusate se è poco…».