Quella tragedia che non ci ha insegnato nulla
Bastano una giornata invernale e quaranta millimetri di pioggia perché l’acqua inghiotta l’arredo urbano, si mischi alla terra e diventi fango, trasformi le auto in zattere. Eppure non vogliamo vedere, non vogliamo ricordare la devastazione e il dolore del 2006.
Sappiamo tutti cos’è stata l’acqua alta che nei giorni scorsi ha invaso Vibo Marina e Bivona: un avvertimento, una prova generale. Abbiamo visto tutti che basta poco, davvero poco – una pioggia poco più intensa del solito che duri qualche ora – per mettere in ginocchio la zona costiera di Vibo.
Basta, in altre parole, una giornata invernale come quelle che quest’anno sono mancate, per vedere l’acqua inghiottire l’arredo urbano, mischiarsi alla terra e diventare fango, trasformare le auto in zattere.
Eppure non vogliamo vedere, non vogliamo ricordare. Dall’alluvione del 2006, quella cui abbiamo sacrificato vite umane e parte della bellezza e dello sviluppo del territorio, sono passati 10 anni, qualcosa in meno dal documento di Pasquale Versace, l’ingegnere del Camilab che in centinaia di pagine ci ha consegnato la cartina al tornasole della provincia di Vibo Valentia.
Uno spaccato ancora attuale che ne racconta le – precarie – condizioni idrogeologiche, che spiega che se non ci rimbocchiamo le maniche e non puliamo il letto dei torrenti e le cunette e se non compiamo, noi in zona a rischio frane, operazioni di contenimento, ci dobbiamo preparare al peggio. E sapere che il 2026 le frazioni marine non lo vedranno.
VIDEO | Pioggia forte in città, situazione critica a Vibo Marina
È questa la vera bomba a orologeria di Vibo e provincia. Non i cunicoli sotterranei di Tansi, il capo regionale della Protezione civile che pure ha ammesso il “totale disordine idraulico” che governa il Vibonese, un territorio incapace di “assorbire” quaranta millimetri di pioggia.
In quel maledetto 3 luglio del 2006, ne caddero duecento. Chi scrive proprio sugli strascichi degli anni successivi ha iniziato la sua attività giornalistica, e porta ancora dentro come una ferita la rabbia della gente e il loro dolore della perdita, affettiva o economica che fosse. Fu una precipitazione “abbondante” se considerato il lasso di tempo – due ore – in cui si è concentrata, ma non straordinaria.
Perché dare dello straordinario all’ordinario, solo per lavarci la coscienza nell’acqua del Tomarchiello esondato e per far passare il messaggio che la colpa non è nostra (di noi cittadini che abbiamo paura alle prime gocce di acqua ma stiamo zitti; di noi politici, non importa di che colore, che pensiamo sempre che fare non tocchi a noi; di noi abitanti dei vari palazzi di potere che abbiamo sempre altre priorità) è sicuramente un errore. Che può costarci caro.