Ex Italcementi, quale futuro per il cimitero industriale emblema di Vibo Marina?
L’argomento torna ciclicamente d’attualità in ogni campagna elettorale. Ciò che finora è mancato, però, è una reale volontà politica di portare a compimento la riconversione del sito
Come i grattacieli a Manhattan, l’ingombrante e inquietante sagoma dell’ex cementeria è parte integrante dello skyline di Vibo Marina, muta testimone di una ferita economica e occupazionale difficile da rimarginare. La questione legata al recupero dell’area in cui sorge (320.000 metri quadri) ritorna al centro dell’attenzione della politica quasi unicamente in occasione delle campagne elettorali e c’è da scommettere che anche questa volta sarà uno dei leitmotiv nei programmi dei candidati alla carica di sindaco.
La sua chiusura, avvenuta in maniera tanto inopinata quanto definitiva sette anni fa, ha rappresentato una lacerazione profonda del tessuto economico vibonese e, in particolare, della cittadina portuale che ne ha risentito profondamente. E’ stato come se si fosse cancellato un pezzo di storia, in quanto il cementificio rappresentò, insieme al porto, un notevole fattore di sviluppo per Vibo Marina nonostante il prezzo pagato in termini ambientali. Una storia lunga quasi un secolo. Era infatti il 1921 quando l’ingegner Parodi Delfino costituiva la società “Calce e Cementi di Segni”. I lavori per la costruzione della stabilimento di Vibo iniziarono nel 1939, a ritmo rallentato a causa degli eventi bellici. Il primo forno entrò in funzione nel 1944, seguito dall’entrata in esercizio di un secondo forno nel 1949, dall’avviamento di un terzo nel 1961 e di un quarto nel 1967. Nel 1973 la società “Cementi Segni” venne acquistata dall’Italcementi e nel 1987 venne avviato un nuovo forno a via secca con una capacità produttiva di 670.000 tonnellate di cemento e 590.000 tonnellate di clinker in un anno. I dipendenti, che negli anni del dopoguerra superavano le 500 unità, scesero complessivamente al numero di 105, ma si possono calcolare in 400 le persone coinvolte nell’indotto. Il nuovo stabilimento forniva cemento ai terminali Italcementi del Nord e inviava il clinker al centro di macinazione di Savignano. Dal 1996 al 2006 Italcementi effettuò investimenti per la cementeria di Vibo pari a un totale di 22 milioni e mezzo di euro.
Oggi quello stabilimento, che era all’avanguardia in campo mondiale per le sua avanzata tecnologia è uno, anzi il primo, dei cimiteri industriali disseminati nel territorio costiero comunale. Il gruppo tedesco Heidelberg, attuale proprietario dell’area, non ha finora manifestato alcun orientamento per una possibile riconversione e riutilizzo del sito e nessuna pressione è stata finora messa in atto dalla politica per tentare di far uscire dal letargo la proprietà. In questi anni qualche idea su come riutilizzare quei 320.000 metri quadri di territorio è stata timidamente avanzata, ma senza troppa convinzione e, soprattutto, senza il necessario impegno a livello istituzionale. Era stata anche affacciata l’idea di un riutilizzo dei forni come sito per un termovalorizzatore, ma l’idea venne subito scartata anche perché i forni sono ormai inutilizzabili. Un’altra proposta, ancora attuale e inserita nel programma del candidato sindaco Stefano Luciano, è quella relativa alla “bonifica e riqualificazione dello stabilimento e assegnazione per finalità sociali, culturali, ricreative”, mentre il candidato sindaco Domenico Santoro (M5S) vede con favore una possibile destinazione naturalistica dell’area che potrebbe ospitare un Parco della Biodiversità in cui la dimensione naturalistica si intreccia a quella culturale, sportiva e ludica. Naturalmente, ogni ipotesi è subordinata all’orientamento in proposito del gruppo tedesco attuale proprietario del sito industriale dismesso. Ma ciò che rivestirà maggiore importanza dovrà essere il fattivo impegno della classe politica che sarà a breve chiamata a gestire il Comune e la capacità del prossimo sindaco di far uscire dall’impasse un problema che si trascina ormai da troppi anni.