«Cinghiali, cacciatori e ambientalisti “veri”: se la causa si propone come soluzione»
Prosegue serrato il dibattito sull’emergenza ungulati. Il Wwf replica a Federcaccia: «Chi ha creato il problema non si proponga come salvatore della Patria solo per sparare sempre e dovunque»
di Pino Paolillo
Riassumo il senso dell’intervento del dirigente Federcaccia sull’ormai stracitato problema cinghiali: dopo i festosi ripopolamenti degli anni passati a uso e consumo culinario della categoria e conseguenti danni agli agricoltori, una volta scoperchiato il vaso di Pandora, si disse che non bastava più la caccia normale di tre mesi (stupisce che, a certi livelli, non si sappia che la caccia al cinghiale dura tanto e non due mesi), ma che c’era bisogno dei cosiddetti selettori: quindi spari a caccia chiusa, praticamente a tutte le ore, per non parlare dei lacci di acciaio e dei bracconieri.
Ricordiamo ancora i fatti: il piano di abbattimenti selettivi 2016/17 che prevedeva l’uccisione di 3375 cinghiali (guarda caso – benedetto “copia e incolla” – esattamente lo stesso numero previsto per il 2018) ebbe come misero risultato l’abbattimento di 384 capi, cioè poco più del 10 per cento: per la Regione fu una grande successo, per gli agricoltori no. [Continua]
Poi si diedero letteralmente i numeri, peggio che al lotto: da 3375 si passò a 500, per arrivare oggi ai 10.000 capi da abbattere così, d’emblée. Per non parlare dei soli 320 cinghiali (sic!) indicati un anno dall’Ispra come tetto di capi abbattibili in selezione,“oltre le normali attività venatorie” del trimestre ottobre-dicembre.
Ma nonostante il numero dei cinghiali uccisi in braccata da tutte le squadre della Regione si fosse ridotto in soli tre anni da 13000 a 6000, si puntò il dito contro il Parco delle Serre, ricettacolo, si disse, di tutti i cinghiali di mezza Calabria, e anche lì abbattimenti (bracconieri a parte), e di nuovo la solita solfa dei cinghiali in aumento (senza che nessuno, ripeto nessuno, abbia mai detto chi li ha contati, quanti erano in un anno e quanti l’anno successivo) fino al colpo di genio finale: per risolvere “il problema” bisogna ora espugnare l’ultima roccaforte, quell’Oasi dell’Angitola, tanto cara al Wwf, perché è lì, in meno di 600 ettari (tolto il lago) che, secondo i droni dei servizi segreti venatori, si annidano, stretti stretti come sardine in scatola, le orde di 300.000 cinghiali che invadono le Serre e tutto il Vibonese fino al Poro, spingendosi fino al Soveratese, coast to coast, macinando decine di chilometri tra andata e ritorno in una notte, per poi tornare a dormire satolli sulle rive del lago al mattino successivo. Neanche fossero cavalli da corsa.
Non solo: secondo Federcaccia, è quella l’area riproduttiva “eletta” dall’ungulato, dal che si deduce che appena mette il grugno fuori, diventa automaticamente sterile o impotente, oppure che i piccoli che si vedono in giro con le scrofe, in tutte le altre zone, sono frutto di partenogenesi, come alcuni pidocchi delle piante.
Sull’argomento sono intervenuto innumerevoli volte, con dovizia di dati e documenti incontestabili, ma evidentemente conviene far finta di non capire perché lo scopo è sempre quello: non arrivare mai alla soluzione del problema (in caso contrario, eliminati i cinghiali, non ci sarebbero più cinghialai), ma anzi continuare a soffiare sul fuoco per realizzare con politici compiacenti il sogno inconfessato: poter andare a caccia tutto l’anno, giorno e notte e in ogni luogo, parchi e oasi comprese, “senza limiti e confini”. È la ragione per cui le maggiori concentrazioni di ungulati in Italia e in Europa si registrano non dove ci sono meno cacciatori, ma esattamente dove ce ne sono di più interessati a quel tipo di caccia.
Eppure si auspica dialogo tra ambientalisti (quelli “veri”, però) e i cacciatori. Ma con quali? Con gli stessi che, quando noi ci opponevamo ai ripopolamenti, liberavano cinghiali à gogo per il loro passatempo, che hanno creato il problema per poi proporsi come i salvatori della Patria solo per sparare sempre e dovunque? O quelli che vogliono sparare al maggior numero di specie, aprire anticipatamente la caccia e chiuderla il più tardi possibile? No, grazie, abbiamo già dato.
Quanto all’accusa rivolta al Wwf di non aver fatto mai proposte alternative, anche qui il nostro interlocutore cade in errore: guarda caso, alcune nostre proposte sono le stesse che il medesimo dirigente condivise e avanzò in un articolo polemico del 12 aprile 2017 contro la Regione Calabria “per la totale mancanza di controllo con cui è stata effettuata la caccia di selezione” in provincia di Vibo e in cui lamentava “la mancata comunicazione alle forze dell’ordine” e alle Guardie venatorie,denunciando “il modo superficiale con cui veniva affrontato il problema”.
Riportiamo testualmente: “Soprattutto non vengono messe in atto quelle misure di prevenzione necessarie per mitigare l’impatto delle popolazioni di cinghiale… difese meccaniche come il filo elettrificato, miglioramenti ambientali con colture specifiche”. Ma parliamo anche di incentivi alle aziende proporzionati alla loro estensione per misure di prevenzione dei danni e, specie per la aree protette, l’utilizzo dei recinti di cattura, come consigliato dall’Ispra nei suoi documenti e come attuati in altre zone dove il problema non lo si affronta, o meglio, non lo si riproduce a suon di fucilate.
Si vede che in tre anni quello che era un “modo superficiale di affrontare il problema”, è diventato un modo efficiente e quei selettori che prima venivano criticati dagli stessi cacciatori di cinghiale (questioni di concorrenza), oggi vengono acclamati, visto che in molti giudicano conveniente fare entrambe le cose.
Scrivo queste righe solo per amore della verità e per respingere accuse inconsistenti, ma sicuro che già da domani qualcuno dirà che la soluzione al problema cinghiali consiste nel ricorso a chi ha tutto l’interesse a non risolverlo mai.
Quanto alla patente di “vero ambientalista”, penso che la si debba guadagnare non a parole, ma con la propria esistenza: c’è chi la dedica a salvare gli animali, altri ad ucciderli. Peccato che loro non si possano esprimere.