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Stammer 2 | Il ruolo del boss Rocco Anello nel narcotraffico e la storia del clan di Filadelfia

Nell’ambito della nuova operazione della Dda di Catanzaro è accusato di aver ricoperto il ruolo di finanziatore e promotore di un'importazione di marijuana dall’Albania

Stammer 2 | Il ruolo del boss Rocco Anello nel narcotraffico e la storia del clan di Filadelfia

E’ dedicato a Rocco Anello, 58 anni, boss dell’omonimo clan di Filadelfia, un apposito capitolo dell’operazione antidroga denominata “Stammer 2”, scattata l’1 marzo scorso contro il narcotraffico internazionale che nel Vibonese sarebbe stato gestito dai clan Pititto-Prostamo di Mileto, Fiarè di San Gregorio d’Ippona ed il gruppo di San Calogero guidato dal broker della cocaina, Francesco Ventrici. L’indagine “Stammer 2” ha permesso alla Guardia di Finanza ed alla Dda di Catanzaro di documentare almeno una cessione di stupefacente (44 chili di marijuana dall’Albania) effettuata nei confronti di Rocco Anello, soggetto definito nell’ordinanza di custodia cautelare come “di elevatissima caratura criminale e capobastone della ‘ndrina preposta su Filadelfia e sui territori limitrofi alla stessa, ricompresi tra i territori di Curinga, Acconia e Polia, fino a raggiungere il quadrivio angitolano, lungo la direttrice autostradale Lamezia Est-Vibo-Pizzo, in direzione sud dell’autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria”. Sarebbero stati Massimo Pannaci – ritenuto il braccio-destro di Salvatore Pititto di Mileto – e Salvatore Paladino di Rosarno a fornire la marijuana a Rocco Anello che nell’organizzazione avrebbe avuto il ruolo di finanziatore e promotore. I 44 chili di marijuana sarebbero stati trasportati da Massimo Pannaci dal bivio dell’Angitola sino al luogo di destinazione, sito in agro di Filadelfia. In quell’occasione, “l’incontro con uno degli adepti di Anello sarebbe avvenuto nei pressi della gelateria Callipo – scrive il gip – ubicata a ridosso dello svincolo autostradale di Pizzo. Da quel punto di sosta, l’uomo di Rocco Anello avrebbe fatto da battistrada, sia per Pannaci, che l’avrebbe seguito con la vettura all’interno della quale era stivato il narcotico, sia per Salvatore Paladino e il figlio Antonio, che rappresentavano l’ulteriore staffetta a bordo dell’Audi Q5 di quest’ultimo”. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, la cessione operata dai Paladino, con il supporto di Massimo Pananci, sarebbe avvenuta durante un periodo di assenza di Salvatore Pititto che si era spostato a Roma per tentare l’acquisto di un carico di cocaina da un colombiano ivi dimorante ed annoverato tra le conoscenze di Antonio Grillo di San Calogero. Quanto avvenuto, avrebbe cagionato il malcontento di Salvatore Pititto, che si sarebbe sentito raggirato dal comportamento dei sodali, poiché escluso sia dalla cessione dello stupefacente, sia dalla spartizione dei relativi guadagni. Per ricostruire la vicenda, un ruolo fondamentale sarebbe stato rappresentato, ancora una volta, dalle rivelazioni fatte da Salvatore Pititto a Oksana Verman all’interno dell’appartamento della donna e sito a Vibo Valentia, captate per mezzo del dispositivo d’intercettazione ivi installato.

Gli investigatori ritengono così che i contatti del boss di Filadelfia, Rocco Anello con Salvatore Pititto Fortunato Lo Schiavo e Salvatore Paladino, fossero già avviati da tempo e si sarebbero prolungati sino al novembre 2016 in concomitanza del cambio di strategia adottato dal sodalizio calabrese e dall’organizzazione albanese, in merito alla scelta del porto di Ancona quale nuova destinazione per le importazioni di marijuana, in luogo delle sponde del litorale brindisino, fino ad allora utilizzate. Rocco Anello avrebbe “garantito la propria partnership alle importazioni di marijuana dall’Albania, laddove non avrebbe rappresentato il terminal della spedizione, bensì l’intermediario in negoziazioni con altri committenti annoverati tra le sue conoscenze”. In altra occasione, invece, grazie alla mediazione di Rocco Anello, Salvatore Pititto ed il consuocero Fortunato Loschiavo si sarebbero interessati per una nuova fornitura di stupefacente. Operazione, però, in questo caso non andata in porto. 

Storia del clan Anello. Stando alle sentenze ormai definitive, il clan Anello si sarebbe affermato a metà degli anni ’80, con Rocco Anello coadiuvato dai fratelli Tommaso e Domenico. Pur avendo la propria roccaforte a Filadelfia, la cosca sarebbe riuscita, negli anni, ad estendere i propri “affari” nei comuni di Polia, Maida, Pizzo, San Nicola da Crissa, Monterosso e Capistrano, stringendo alleanze con i fratelli Fiumara di Francavilla Angitola ed i Fruci di Acconia di Curinga. L’autorevolezza ed il “prestigio” conquistato da Rocco Anello, anche attraverso lunghi periodi di detenzione, gli hanno inoltre permesso di poter dialogare alla pari con le principali cosche di Lamezia Terme: dai Giampà ai Torcasio- Gualtieri, dai De Fazio ai Cappello, dai Cannizzaro ai Pagliuso, sino ai Iannazzo. Secondo gli inquirenti, sarebbe stato il traffico di armi e droga con la Svizzera, in collaborazione con i narcos colombiani, a far compiere a Rocco Anello il “salto di qualità”  nella ‘ndrangheta, tanto da essere il primo nominativo di una lista di 64 persone finito in un’informativa dei carabinieri di Catanzaro del 1991. Un rapporto, quello con la Colombia, mai interrotto, tanto che l’ultimo rapporto dei carabinieri di Reggio Calabria, redatto dopo l’attentato agli uffici della Procura generale di Reggio, nel delineare la “geografia” delle ‘ndrine nel mondo, spiega come in Colombia, maggior produttore di cocaina al mondo, siano “presenti gli uomini delle cosca Anello”, accanto ai referenti di cosche storiche come gli Aquino ed i Mazzaferro di Marina di Gioiosa Ionica, i Nirta di San Luca, i Morabito di Africo, i Molè di Gioia Tauro, i Paviglianiti di San Lorenzo. Secondo gli investigatori, un rapporto strettissimo di amicizia avrebbe inoltre unito Rocco Anello con Damiano Vallelunga, il boss di Serra San Bruno ucciso a Riace il 27 settembre 2009, ed anche con Vito Tolone, ritenuto il boss di Vallefiorita, freddato il 31 gennaio 2008. Un’alleanza, quest’ultima, che gli inquirenti scoprirono nel 1991, quando dalla Svizzera saltò fuori un vasto traffico di droga gestito, in simbiosi, da uomini del clan Anello, alcuni colombiani e fedelissimi del boss di Vallefiorita. Alleanza fra Tolone, Vallelunga ed Anello confermata pure dal defunto collaboratore di giustizia, Gerardo D’Urzo, all’ergastolo per la strage dell’Epifania del 1991 a Sant’Onofrio, nell’interrogatorio reso all’allora pm della Dda di Catanzaro, Patrizia Nobile, il  22 giugno del 2002.

I rapporti fra gli Anello ed i Torcasio di Lamezia, invece, vengono messi in luce dal collaboratore, Francesco Michienzi, di Acconia di Curinga, nell’ambito dell’inchiesta “Effetto Domino”. “Prima dell’omicidio di Giovanni Torcasio, i rapporti fra gli Anello ed i Torcasio erano buoni – spiegò Michienzi – ed i Torcasio andavano sempre da Rocco Anello a parlare, ma dopo l’operazione “Tabula Rasa” del dicembre 2002 si sono interrotti”. I “dissapori” fra i Torcasio e gli Anello sarebbero sorti per la riscossione delle estorsioni sui lavori pubblici nel territorio di Maida, mentre per quelle connesse alla realizzazione dei parchi eolici di Serra Pelata, Piano di Corda, Polia e Cortale, la cosca Anello non avrebbe avuto rivali. Anche per i lavori pubblici su Filadelfia, Francavilla ed Acconia, così come emerso dall’inchiesta “Effetto Domino”, la cosca Anello avrebbe imposto le propria “legge”, vale a dire il 2% sull’importo complessivo di ogni appalto.

Legato da “cointeressenze criminali a Pasquale Bonavota di Sant’Onofrio”, Rocco Anello  non avrebbe permesso alcuna intromissione nel “suo” territorio neppure ai Mancuso, tanto da affrontare a “muso duro”- per come emerge negli atti di “Uova del Drago – Pantaleone “Scarpuni” Mancuso ed imporre uno stop alle mire espansionistiche del clan di Limbadi su Pizzo. La “famiglia” di Filadelfia, dopo oltre un ventennio, continua a far parlare di sé.

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