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Autobomba di Limbadi, il pentito Loielo: «Rifiutai cinquemila euro per uccidere»

Nelle prime dichiarazioni il nuovo collaboratore di giustizia delle Preserre vibonesi tira in ballo due giovani di Soriano, già scarcerati dal Riesame, a cui si sarebbero rivolti i Mancuso

Autobomba di Limbadi, il pentito Loielo: «Rifiutai cinquemila euro per uccidere»
Walter Loielo

Vengono rese note le prime dichiarazioni del nuovo collaboratore di giustizia, Walter Loielo, 26 anni, di Gerocarne, attualmente indagato dalla Procura di Vibo Valentia per concorso nell’occultamento del cadavere del padre, Antonino Loielo, il cui omicidio viene contestato a Ivan Loielo, fratello di Walter. Il nuovo collaboratore è stato chiamato a deporre nel processo per l’autobomba di Limbadi – costata nell’aprile 2018 la vita al biologo Matteo Vinci ed il ferimento al padre Francesco – per l’udienza del 27 aprile prossimo.
Walter Loielo chiama in causa due giovani di Soriano Calabro: Filippo De Marco, 40 anni e Antonio Criniti, di 30 anni, i quali gli avrebbero recapitato nel 2018 – prima dell’autobomba –  un’imbasciata proveniente dai Mancuso (il collaboratore non fa però riferimento a quali Mancuso) per compiere un omicidio a Limbadi. Bisognava infatti eliminare “un vecchietto in campagna” per la somma di cinquemila euro. Un “lavoro” non accettato da Walter Loielo per l’esiguità della somma ma soprattutto perché ormai si era sparsa la voce circa l’incarico ricevuto. [Continua in basso]

Giuseppe Mancuso

Non so dire il nome di questo vecchietto – ha dichiarato il collaboratore – perché non me l’hanno detto, non avendo io accettato l’incarico. Successivamente parlai di questa cosa con Giuseppe Salvatore Mancuso quando era latitante, nel 2019: io gli dissi che sicuramente la persona che volevano che io uccidessi era il vecchietto a cui avevano già messo la bomba e Giuseppe Mancuso mi disse che sicuramente era stato il cognato di questi suoi parenti a voler fare tutto di nascosto”. Giuseppe Mancuso (fratello del collaboratore di giustizia Emanuele Mancuso) è il figlio di Pantaleone Mancuso, alias “l’Ingegnere”, fratello di Rosaria Mancuso, quest’ultima in carcere quale mandante dell’autobomba. “Il cognato” che avrebbe fatto “tutto di nascosto” non è stato ancora identificato. Originario di Soriano Calabro è Vito Barbara, sposato con una figlia di Rosaria Mancuso (quindi genero di Rosaria Mancuso) ed anche lui detenuto quale mandante dell’autobomba.

Rosaria Mancuso

“Antonio Criniti è di Soriano Calabro – dichiara Walter Loielo – e frequentava mio fratello Ivan. Successivamente ho avuto modo di conoscerlo pure io. Per quanto a mia conoscenza, vende frutta con il cognato, tale Filippo, del quale non ricordo il cognome, sposato con Rosaria Criniti. Venivano a farmi visita Antonio Criniti e suo cognato Filippo e mi informavano che vi era una imbasciata proveniente da “là sotto”, specificando che si trattava dei Mancuso. In particolare, Criniti mi informava che mi avrebbero pagato cinquemila euro per uccidere un vecchietto in campagna. Non so se la decisione di rivolgersi a me, per commettere l’omicidio, fosse stata presa autonomamente da Criniti o che il mio nome fosse stato espressamente indicato da quelli di “là sotto”, ossia dai Mancuso. Lo stesso, a mia domanda, mi specificava che la cosa sarebbe stata facile, in quanto si trattava di uccidere un vecchietto in campagna. Criniti era vicino a noi Loielo e talvolta ci ha aiutato a rubare delle auto. Raccontava che suo padre conosceva qualcuno dei Mancuso, ma non saprei dire chi in particolare. Quanto all’imbasciata relativa all’omicidio, ribadisco di avergli negato ogni mia disponibilità e una volta compreso che non avrei accettato la proposta, non mi dava ulteriori dettagli in merito alla vicenda. Lui veniva spesso presso la mia abitazione”. [Continua in basso]

La posizione di Criniti e De Marco non ha retto al vaglio del Riesame

Sin qui le dichiarazioni di Walter Loielo che sono però successive alla decisione con la quale nel novembre scorso il Tribunale del Riesame ha scarcerato Filippo De Marco e Antonio Criniti, non reggendo nei loro confronti le accuse di omicidio, tentato omicidio, danneggiamentoporto di esplosivi, tentata estorsione. I due giovani restano infatti detenuti unicamente per l’accusa di traffico di stupefacenti. Secondo l’accusa, Criniti e De Marco per sdebitarsi di una cessione di stupefacenti avrebbero fabbricato e materialmente posizionato la micidiale bomba che ha fatto saltare in aria l’auto sulla quale il 9 aprile 2018 viaggiavano Matteo Vinci, deceduto, ed il padre Francesco Vinci che è rimasto gravemente ferito. Reati tutti aggravati dalle modalità e dalle finalità mafiose, ma anche su tale punto il Tribunale del Riesame di Catanzaro, presieduto dal giudice Giuseppe Valea, ha annullato a novembre l’ordinanza.

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