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Il Covid distrugge anche senza infettare: la lettera disperata di un papà vibonese

Francesco ha un ristorante nella città capoluogo. Ora è chiuso, ma le fatture e le bollette si accumulano e uno sconforto senza via d'uscita rischia di prendere il sopravvento. Ecco le sue commoventi parole

Il Covid distrugge anche senza infettare: la lettera disperata di un papà vibonese

Il Covid, all’origine di tutto. Poi la crisi economica. I lockdown. Il suo locale chiuso, fatture e bollette che si accumulano. I creditori sono alla porta e lo spettro del fallimento diventa più incombente.
Non sapere più come fare la spesa. Dire di no ai propri figli che chiedono un giocattolo, un dolce, una sciocchezza che però oggi costa più di quanto si possa permettere. C’è tutto questo nella lettera di Francesco, ristoratore di Vibo Valentia messo con le spalle al muro dalla crisi economica innescata dall’emergenza sanitaria. Le sue parole commuovono e fanno riflettere. Ecco la sua lettera, nella sua versione integrale.

La lettera

«Da troppi mesi oramai il mio desiderio quotidiano è che le giornate siano il più breve possibile e allo stesso tempo che non comincino affatto. Non vorrei vedere più l’aurora perché so che un altro giorno di sofferenza e dolore inizia, non vorrei vedere giungere più la notte perché il letto è come se si trasformasse in un groviglio di ortiche e siepi spinose, il cui veleno e tossicità nelle carni scatena, poi, quei terribili effetti psicotropi. E, infatti, subito la mente inizia il suo viaggio. Giungo nella selva oscura ove, una volta dentro, sento nel subconscio tutte le pene e le afflizioni che l’essere umano può patire. Dopo tanto sudare, sbattimento, irrequietezza, avvilimento, ansia e paura vera, tutto ad un tratto sento di essere arrivato al capolinea, vedo la fine…

Ed ecco, che di sobbalzo apro gli occhi e cerco la luce, vorrei la luce. Sì, quella luce che, da un lato, non volevo, per l’inizio di un nuovo giorno, ma che ora è indispensabile per trovare la pace, quella pace deturpata, violentata, dal buio della notte, dalle tenebre. E così inizia un nuovo giorno.

Il buongiorno non ce lo si dice più, è una parola che la bocca non riesce più a pronunciare, bocca che non riesce nemmeno più ad elasticizzarsi per esprimere un sorriso. Dopo essermi lavato il viso, incominciano ad affiorare e, pian piano, a prendere nuovamente potere, sul mio animo, le preoccupazioni, i pensieri, la paura di perdere il lavoro, la paura di perdere tutto, la paura di portare con me nel limbo dei dannati anche loro, i miei cari…. E, così, cado in trans e inizio nuovamente a vagare col cervello. Mi domando: “Cosa Faccio? Come faccio la spesa oggi? Cosa do da mangiare a mio figlio? Come posso procurarmi una banconota anche solo di 20 euro? Caspita, come rinnovo la polizza alla macchina? Che dico a quello della Banca quando chiamerà per l’insolvenza della rata del mutuo? Che dico a quello della Finanziaria quando chiamerà per la rata della macchina? Che cosa dico all’Enel? Cosa dico all’INPS e all’Agenzia delle Entrate? Cosa dico all’Amministrazione comunale quando mi inoltrerà la tassa sui rifiuti e l’Imu? Cosa dico a tutti questi signori?”.

Avverto la sensazione di essere diventato un ricercato, un fuorilegge. Scatta la paura che presto, da un momento all’altro, arriva la telefonata. La paura che possano dirmi: “Visto i solleciti e le perduranti inadempienze siamo costretti a revocarle la dilazione, siamo costretti a procedere legalmente nei suoi confronti” e, da qui, la paura di ritrovarmi dinanzi ad un giudice e la paura che qualcuno possa venire a pignorarmi qualcosa, qualcosa che con tanti sacrifici ero riuscito ad avere, per me o per un mio caro. A tutte queste preoccupazioni si aggiungono, poi, le mortificazioni che sono ancora più dilanianti delle paure e preoccupazioni. La mortificazione di dover dire, oramai, quasi sempre “no”, anzi, “ amore di papà…no! Non è possibile, papà non può”.

La mancanza di sorrisi, la mancanza di spensieratezza, la mancanza di piccoli gesti quotidiani nei confronti del mio unico figlio, nei confronti della mia compagna di vita che condivide il mio dolore, nei confronti di mio padre e di mia padre in pena e nei confronti delle sorelle sono il dolore più grande. “Sì, è vero…Dio mio io ti ringrazio per non aver contratto il virus, ti ringrazio anche per non averlo neppure contratto i miei familiari, ma… Dio… Dio mio… la salute ce la stiamo rimettendo lo stesso! C’è chi rischia l’Ictus, c’è chi rischia lo stato vegetativo, chi rischia di andare in analisi… Dio… Dio mio… non fare che le conseguenze possano essere altre… Dio… Dio mio… non ci abbandonare”».

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