Il furto da 100mila euro nella gioielleria di Nicotera e le accuse ad Emanuele Mancuso
Dall’inchiesta Nemea emerge che altri membri della famiglia Mancuso avrebbero costretto il figlio del boss Pantaleone a restituire i preziosi
C’è anche il furto con un bottino del valore di 100mila euro alla gioielleria “Limardo” di Nicotera avvenuto il 3 gennaio scorso fra i capi di imputazione dell’operazione “Nemea” scattata oggi contro il clan Soriano di Filandari. Il furto viene contestato ad Emanuele Mancuso, 30 anni, di Nicotera, figlio del boss di Limbadi Pantaleone Mancuso, alias “l’Ingegnere”. In particolare, secondo l’accusa, Emanuele Mancuso si sarebbe introdotto con soggetti in via di identificazione all’interno della gioielleria di di proprietà di Emanuele Limardo, sita a Nicotera, impossessandosi di preziosi per un valore di 100mila euro, sottraendoli al titolare dell’esercizio commerciale.
Per portare a termine il furto, i ladri hanno reciso tutti i collegamenti elettrici che avrebbero potuto far scattare il sistema di allarme. Una volta all’interno, i malviventi non sono però riusciti ad impossessarsi del denaro e dei gioielli custoditi nella cassaforte, ma solo di quelli nelle vetrine e nel locale. Emanuele Mancuso nelle intercettazioni parla del coinvolgimento nel furto del proprio fratello Giuseppe che però, dai riscontri dei carabinieri, si trova detenuto. Sono quindi in corso ulteriori indagini da parte dei carabinieri del Nucleo Investigativo di Vibo per dare un nome ed un volto ai complici di Mancuso. Per tale furto, secondo quanto emerge dal provvedimento di fermo di indiziato di delitto, Emanuele Mancuso si sarebbe scontrato con altri membri della famiglia Mancuso che l’avrebbero sostanzialmente costretto a restituire parte di quanto rubato, “in una logica mafiosa di controllo del territorio – scrive il pm Annamaria Frustaci – e delle azioni dei riferibili ai propri accoliti”. Una restituzione di gioielli e preziosi che però, secondo gli inquirenti, non risulta dichiarata dal titolare della gioielleria il quale risulterebbe “aver già fruito – scrive il pm – del risarcimento da parte della compagnia assicurativa”.
In merito all’articolo di cui sopra dalla signora Marianna D’Agostino riceviamo e integralmente pubblichiamo:
“Con riferimento alle notizie pubblicate da “Il Vibonese”, chiedo che, per tutelare la mia integrità morale, venga dato eguale risalto alla seguente smentita e rettifica :- Anzitutto, il negozio di gioielleria sito in Nicotera è di mia esclusiva titolarità e mio figlio Emanuele Limardo non c’entra nulla. In secondo luogo, non è assolutamente vero che la merce trafugata fosse coperta da assicurazione; per cui nessun indennizzo ho mai percepito per il grave danno subito. Inoltre, non ho mai saputo chi fosse l’autore del furto, tant’è che ho sporto denuncia contro ignoti, e, di conseguenza, non ho fatto intervenire alcuno -né avrei potuto- perché mi fosse restituita la merce. Ovviamente, le due circostanze di cui sopra sono in netta contraddizione tra esse : se la merce fosse stata davvero assicurata, non avrei avuto alcun motivo o interesse a farmela restituire, tanto mi sarebbe stata risarcita. Del pari, se avessi avuto elementi per accusare qualcuno del furto, non avrei sporto denuncia contro ignoti. Poiché la falsa rappresentazione dei fatti così come emerge dalle notizie pubblicate è fortemente lesiva della mia onestà ed onorabilità, ritengo che sia dovere di ogni buon cronista riportare la verità delle cose”.
Sin qui la nota della signora D’Agostino. Per parte nostra preme semplicemente evidenziare di esserci scupolosamente e fedelmente attenuti a quanto riportato nel provvedimento di fermo della Dda di Catanzaro, fonte qualificata per qualunque giornalista.
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