“Diacono”, dal bossolo ritrovato a terra ai diplomi comprati: ecco com’è nata l’inchiesta – Video
Il ritrovamento di un arsenale e di un ingente somma di denaro nel luglio scorso fa scattare le indagini che hanno portato a scoperchiare il calderone di un sistema corruttivo per un giro d’affari di diversi milioni di euro
Un proiettile casualmente rinvenuto durante una normale verifica su armi legalmente detenute. Un proiettile non compatibile con le pistole in possesso di Davide Licata, insospettabile amministratore dell’Accademia di Belle arti Fidia di Stefanaconi. Parte da qui, il 2 luglio dello scorso anno, il primo passo di un inarrestabile effetto domino, che ha permesso di scoperchiare un sistema di falsi diplomi, crediti formativi comprati, e corruzione, in grado di generare profitti illeciti per milioni di euro…
In quella prima perquisizione, nell’estate 2020, vennero rinvenute numerose armi, un antico testo trafugato in Abruzzo nel 2006 e orpelli massonici, ma soprattutto una somma di oltre 200mila euro in contanti. Da lì – seguendo la traccia dei soldi – i segugi dell’Arma dei carabinieri hanno ricostruito un giro d’affari orbitante nel settore dell’istruzione paritaria, di cui la famiglia Licata e la loro accademia erano il perno fondamentale.
Con 2.000 euro era possibile acquistare un diploma, con qualche centinaio di euro 24 crediti formativi. Circostanza documentata anche da un servizio del tg satirico di Canale5 Striscia la notizia – citato nell’inchiesta – risalente al 9 ottobre del 2019. Da un’intercettazione captata tra i promotori dell’associazione a delinquere, emerge come a partire dal 2014 siano stati rilasciati dai 20 ai 30mila certificati falsi, utili all’accesso a concorsi per docenti e personale Ata. Una rete che ha goduto di complicità altolocate e di vari intermediari nel settore dell’istruzione, costituita da 19 società oggi finite sotto sequestro per un valore stimato in circa 7 milioni di euro.
Gli illeciti orchestrati dalla famiglia Licata sarebbero stati agevolati e resi possibili, sempre secondo l’accusa, grazie alla corruzione di un ispettore del Miur, Maurizio Piscitelli, incaricato, fra l’altro, del controllo degli istituti privati accreditati. Oltre a Piscitelli, che è stato arrestato e nella cui abitazione di Castrolibero sono stati trovati 160mila euro in contanti occultati nell’imbottitura di una sedia, nelle maglie dell’inchiesta è finita anche la direttrice dell’Ufficio scolastico regionale della Calabria Maria Rita Calvosa. A carico di Piscitelli, oltre alla commistione di interessi con una società a lui direttamente riconducibile attraverso il figlio Christian, è emerso anche il ruolo di illecito tutoraggio nei confronti Giovanni Carbone, candidato in un concorso per ispettore Miur, in combutta col quale avrebbe messo in atto un vero e proprio patto corruttivo con il coinvolgimento di Maria Rita Calvosa nella veste di presidente della commissione giudicatrice. Obiettivo: scalare la graduatoria della prova. Nello specifico, l’indagine avrebbe documentato, anche se gli accertamenti non si sono ancora conclusi, il tentativo di far ottenere il risultato desiderato a Carbone offrendo come contropartita, a Calvosa, il trasferimento a Roma mediante l’attribuzione di incarico nell’ambito del Ministero, in ciò avvalendosi di legami di fratellanza massonica.
«Dall’episodio del sequestro di armi e di denaro risalente a luglio – ha detto il procuratore Camillo Falvo – si è via via materializzato, nel corso delle indagini, un vero e proprio mercimonio con la vendita di migliaia e migliaia di attestati, diplomi e master che, immessi nel circuito nazionale, hanno condizionato il mercato del lavoro».