“Il sindacato nella gestione dell’impresa”, l’ultimo lavoro di Michele Furci
Nella sua ultima fatica letteraria, lo storico vibonese invoca la necessità di «rigenerare il sindacalismo confederale moderno pena la deriva marginale e la sua estinzione»
Un nuovo orizzonte per fermare l’arbitrio e tenere il passo alle multinazionali nel sistema globale. Questo il leit motiv dell’ultimo libro di Michele Furci, da qualche giorno disponibile sia in formato cartaceo che come e-book. L’ultimo libro dello storico ed ex sindacalista vibonese è dedicato al popolo del lavoro, affinché sappia ritrovare le ragioni per un ruolo da protagonista nelle strutture produttive che si rinnovano continuamente, giacché tutto si evolve con il sapere disvelato dal Creatore all’ingegno della specie umana.
«I lavoratori siano capaci – questa l’esortazione dell’autore -, di fermare l’arbitrio dei pochi che, con il potere del cinismo tecnocrate, rende arida e senza orizzonte l’esistenza dei più». La «questione del lavoro – si legge nella presentazione dell’opera – e la destrutturazione del tessuto produttivo del Paese richiedono uno sforzo urgente per comprendere, riflettendo senza riserva alcuna, quale sia la missione sindacale in questo primo scorcio del terzo millennio. Inevitabile, perciò, con il sapere della realtà che ci circonda, ripercorrere le tappe fondamentali della storia del movimento operaio, dagli albori del suo radicamento all’inizio ‘900 per arrivare ai nostri giorni. Ciò serve per rigenerare il protagonismo del sindacalismo confederale moderno, pena la sua deriva marginale nei processi delle attività umane e dunque della sua estinzione di soggetto rappresentativo nel mondo del lavoro per come si presenta nelle sue inedite forme».
Quindi, prosegue: «Il tema serve per attualizzare sia i contenuti del riscatto sociale indicati dal manifesto di Marx e Engels nel 1848 e sia per prendere atto dei principi basilari della dottrina sociale cristiana, codificati da Leone XIII con la pubblicazione della Rerum Novarum nel 1891. Si tratta, infatti, di concretare la sintesi dei due pensieri nella realtà di questo scorcio del terzo millennio per cambiare il paradigma imposto dalla logica tecnocrate in materia di uso delle risorse e della produzione della ricchezza mediante la piena creatività della missione del lavoro umano. La combinazione positiva dei postulati contenuti nei due documenti, chiave di lettura dei processi scaturiti dalla prima rivoluzione industriale dell’ottocento, serve per sconfiggere l’idea aberrante dell’iper-liberismo finanziario di questo XXI secolo che, imponendosi nella gestione odierna delle unità produttive e dei servizi in maniera impersonale, annulla il normale rapporto duale di relazioni industriali delle parti sociali, concretatosi in Europa e in Occidente dopo un secolo di conquiste sindacali sul versante della democrazia economica. Tanto più che – prosegue l’autore -, con la globalizzazione dei mercati e la possibile delocalizzazione unilaterale delle unità produttive praticata dalle multinazionali e dalle aziende quotate in Borsa, la responsabilità sociale e comunitaria cui è tenuta a osservare costituzionalmente l’impresa è sottratta al confronto naturale e democratico con le varie articolazioni sociali e dello stesso Stato, impossibilitato a tal uopo di esercitare sino in fondo la sua sovranità».
Per Furci: «La totale libertà di muoversi, consentita con la presunta natura sovranazionale alle multinazionali, produce effetti devastanti nel processo relazionale tra le parti storicamente chiamate a gestire e governare il naturale conflitto sociale. Questa inedita forma dell’impresa, ossia dell’imprenditore chiamato a concretare e a esercitare professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni e servizi, svilisce il potere sovrano dello Stato e annulla il protagonismo creativo e partecipativo del soggetto politico fondamentale del lavoro, che storicamente è identificato con il sindacato dei lavoratori. Per queste ragioni, serve una rivisitazione dei processi sociali che hanno dato origine al sindacalismo confederale sul finire del XIX secolo e delle sue divisioni nel primo ventennio del ‘900».