Omicidio di Maria Chindamo, il fratello Vincenzo non diffamò Ascone
Il gip di Vibo Valentia accoglie la richiesta della Procura e rigetta l’opposizione del querelante: notizia criminis «infondata». A Quarto Grado non ci fu alcuna lesione del diritto
«Nonostante i tentativi, nessuno potrà limitare le voci che in questa terra urlano verità e giustizia per un futuro migliore. La scomparsa di Maria è una ferita aperta nel cuore della mia famiglia ma anche in quello di un intero territorio che non merita di avere bavagli, ma di vivere con quella libertà che Maria, da donna libera, sognava». Parole che Vincenzo Chindamo, malgrado il successo giudiziario, pronuncia con una punta d’amarezza. S’è ritrovato, suo malgrado, indagato per il reato di diffamazione, ma il gip Marina Russo, accogliendo la richiesta formulata dalla Procura di Vibo Valentia, ha disposto l’archiviazione del procedimento.
Il querelante? Salvatore Ascone, ovvero colui il quale era stato iscritto sul registro degli indagati per il concorso nell’omicidio di Maria Chindamo, sorella di Vincenzo, l’imprenditrice di Laureana di Borrello vittima della lupara bianca, rapita, uccisa e fatta sparire la mattina del 6 maggio 2016 dalla sua azienda agricola di Limbadi. Ascone – noto con l’alias ‘u Pinnularu – fu anche arrestato, ma il Tribunale del Riesame di Catanzaro, accogliendo il ricorso del difensore dell’indagato Francesco Sabatino, annullò la misura e dispose l’immediata scarcerazione. Gli era contestata, in particolare, la manomissione delle telecamere di videosorveglianza della sua tenuta, che puntavano direttamente nel punto in cui Maria fu aggredita, ferita gravemente se non subito uccisa e portata via per sempre a bordo di un’autovettura. Le telecamere di Ascone, però, quella mattina, erano spente. Un black out più che sospetto iniziato la sera precedente.
Gli atti dell’inchiesta sul delitto, condotta dal pm Concettina Iannazzo, ravvisando un ruolo della ‘ndrangheta nel giallo, furono poi trasferiti dal procuratore Camillo Falvo alla Dda di Catanzaro guidata da Nicola Gratteri. Ora del caso è titolare il pm antimafia Anna Maria Frustaci.
Ascone si sentì diffamato dalle parole che Vincenzo Chindamo pronunciò nel corso di una puntata della trasmissione di Rete 4, condotta da Gianluigi Nuzzi e Alessandra Viero, Quarto Grado. La Procura, acquisita la querela di Ascone e valutato il contenuto dell’intervista resa da Chindamo nel programma Mediaset, chiese l’archiviazione del procedimento. La difesa di Ascone si oppose e, da qui, l’udienza camerale davanti al gip Russo, che ha rigettato l’istanza del querelante.
«Il reato di diffamazione – scrive in premessa il giudice – richiede un’offesa all’altrui reputazione e implica l’utilizzo consapevole, da parte dell’agente, di parole ed espressioni socialmente interpretabili come offensive».
D’altro canto, le parole di Vincenzo Chindamo a Quarto Grado «non appaiono in alcun modo connotate dai profili richiesti dal legislatore ai fini dell’integrazione della fattispecie contestata, essendosi piuttosto limitato il Chindamo a propulsare le indagini in ordine alla scomparsa della sorella, sollecitando eventuali testimoni a collaborare con la giustizia». Insomma, archiviato il procedimento per «infondatezza della notizia criminis».