Pressioni su Emanuele Mancuso, in sette a giudizio e in due con l’abbreviato
Oltre che sulla latitanza di Giuseppe Mancuso, gli imputati sono accusati di aver tentato di far desistere il rampollo del clan – ora parte civile contro i familiari - a collaborare con la giustizia
Tutti a giudizio tranne un non luogo a procedere. In sette con rito ordinario e in due con rito abbreviato. Accolta, inoltre, la richiesta del collaboratore di giustizia Emanuele Mancuso di costituirsi parte civile (è assistito dall’avvocato Antonia Nicolini) contro i suoi stessi familiari (padre, madre e sorella), già decisa nella precedente udienza, ed anche contro il fratello Giuseppe la cui posizione nella scorsa udienza era stata stralciata. Parte civile, sempre con l’avvocato Nicolini, anche la figlia minorenne di Emanuele Mancuso. Si tratta del procedimento penale che mira a far luce sulle responsabilità legate alla latitanza di Giuseppe Mancuso, 34 anni, di Nicotera, figlio del boss della ‘ndrangheta Pantaleone Mancuso, detto “l’Ingegnere”, e sulle pressioni per far recedere Emanuele Mancuso (fratello di Giuseppe) dal collaborare con la giustizia.
Il gup distrettuale di Catanzaro, in accoglimento di una richiesta avanzata dal pm della Dda Andrea Mancuso, ha quindi rinviato a giudizio dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia: Pantaleone Mancuso, 59 anni, detto “l’Ingegnere” (padre di Giuseppe ed Emanuele); Giuseppe Pititto, 28 anni, di Mileto; Rosaria Del Vecchio, 55 anni, di Nicotera; Giovanna Del Vecchio, 52 anni, di Nicotera (madre di Giuseppe ed Emanuele Mancuso e moglie di Pantaleone Mancuso detto “l’Ingegnere”); Antonino Maccarone, 33 anni, di Limbadi; Desiree Mancuso, 28 anni, di Nicotera; Giuseppe Mancuso, 34 anni, di Nicotera. [Continua]
Unica prosciolta dal gup, in accoglimento di una richiesta del pm, Luisa Maria Borrome, 41 anni, di nazionalità dominicana, per la quale il gup ha deciso per il non luogo a procedere.
Ammessi al processo con rito abbreviato (che prevede un processo dinanzi allo stesso gup alo stato degli atti e, in caso di condanna, lo sconto di pena pari ad un terzo) gli imputati: Francesco Pugliese, 20 anni, di Zungri; e Nency Vera Chimirri, 28 anni, compagna di Emanuele Mancuso.
In totale sono 13 i capi di imputazione. Ricettazione, detenzione e porto in luogo pubblico di armi è il reato che viene contestato in concorso a Giuseppe Mancuso e Francesco Pugliese in relazione ad una pistola con matricola abrasa ed una carabina con relative munizioni rinvenute a Zaccanopoli il 27 novembre dello scorso anno.
Evasione degli arresti domiciliari è poi il reato contestato a Giuseppe Mancuso, mentre il reato di favoreggiamento personale (per aver agevolato la latitanza di Giuseppe Mancuso che si sarebbe così sottratto all’esecuzione di una pena) viene contestato a Francesco Pugliese. Tutti i reati contestati sono aggravati dalle modalità e dalle finalità mafiose.
Giuseppe Mancuso contro il fratello
Violenza privata e favoreggiamento personale (aggravati dal metodo Mafioso) sono quindi i reati contestati in concorso a Giuseppe Mancuso e Francesco Pugliese. In particolare, i due affacciandosi a turno dalla finestra della cella della casa circondariale di Siano, chiamavano a gran voce Emanuele Mancuso e con tono minaccioso gli intimavano di ritornare indietro e di ritrattare la scelta di collaborare con la giustizia.
Violenza privata con le finalità mafiose è invece il reato contestato a Giuseppe Mancuso che, avendo appreso dell’avvio della collaborazione con la giustizia da parte del fratello Emanuele, gli avrebbe inviato una missiva minatoria dal carcere di Catanzaro. Nella lettera Giuseppe Mancuso indicava al fratello Emanuele il “codice di comportamento da tenere all’interno del penitenziario intimandogli”, con toni perentori, di non parlare della famiglia Mancuso.
Le pressioni dei familiari su Emanuele Mancuso
Violenza privata e intralcio alla giustizia (con l’aggravante delle finalità mafiose) le contestazioni mosse a Rosaria Del Vecchio, Giovanna Del Vecchio, Giuseppe Mancuso, Nensy Vera Chimirri e Antonino Maccarone. Mediante violenza psichica e paventando la possibilità di non poter vedere la figlia minore, nonché mediante offerte di denaro o altre utilità, avrebbero costretto Emanuele Mancuso a interrompere la collaborazione con la giustizia avviata il 18 giugno 2018 e ad uscire dal programma di protezione il 20 maggio 2019, non presentandosi all’interrogatorio fissato per il 21 maggio 2019. Giovanna Del Vecchio, avendo appreso dal figlio Giuseppe dell’intenzione di Emanuele di collaborare con la giustizia, avrebbe quindi avvertito il marito Pantaleone Mancuso che si è reso irreperibile (venendo catturato con documenti falsi solo il 13 marzo 2019).
Nancy Chimirri (compagna all’epoca di Emanuele Mancuso) avrebbe poi fatto recapitare al compagno una foto della figlia in braccio al fratello Giuseppe Mancuso, preannunciandogli che la strategia difensiva dei familiari era quella di farlo passare per pazzo.
Il ruolo della madre di Emanuele Mancuso
Giovanna Del Vecchio approfittando di un momento di fragilità del figlio Emanuele Mancuso (detenuto in località protetta in regime di arresti domiciliari) – dovuto ad alcune criticità nella gestione del piano di protezione, ai mancati colloqui visivi con la figlia minore ed alle preoccupazioni per il contesto nel quale viveva la bambina, anche a fronte del tentato omicidio ai danni di Domenic Signoretta (ritenuto il braccio destro del padre e del fratello) avvenuto nella notte tra il 19 ed il 20 maggio 2019 — avrebbe quindi convinto il figlio a cedere alle pressioni psicologiche accettando la proposta formulata dalla madre di uscire dal programma di protezione.
Le sorelle Rosaria e Giovanna Del Vecchio (zia e madre di Emanuele Mancuso) si sarebbero quindi fatte rivelare la località protetta dove Emanuele Mancuso si trovava agli arresti domiciliari. Giovanna Del Vecchio – insieme al genero Antonino Maccarone che conduceva il veicolo – è anche accusata di essersi recata in macchina a prelevare il collaboratore dal luogo della detenzione domiciliare, giungendo fino a pochi metri dall’alloggio dello stesso, non riuscendo nell’intento solo per via del trasferimento d’urgenza del detenuto in altra località.
Emanuele Mancuso chiamato a deporre il 20 dicembre 2019
Intralcio alla giustizia con l’aggravante del metodo mafioso è infine il reato contestato a Pantaleone Mancuso, Desiree Mancuso, Giovanna Del Vecchio e Rosaria Del Vecchio in quanto, avendo appreso che Emanuele Mancuso aveva ripreso a collaborare con la giustizia, mediante pressioni e reiterate violenze psicologiche, avrebbero compiuto atti idonei a non far deporre Emanuele Mancuso all’udienza del 20 dicembre 2019. I tentativi di far recedere Emanuele Mancuso dal collaborare con la giustizia – attuati anche attraverso la sorella Desiree – sono però caduti nel vuoto e il giovane Emanuele si è rivelato sinora più che attendibile, oltre che il primo ed unico componente della famiglia Mancuso a “saltare il fosso” e passare dalla parte dello Stato.
I difensori. Giuseppe Mancuso è difeso d’ufficio dall’avvocato Francesco Schimio; Francesco Pugliese è assistito dagli avvocati Francesco Schimio e Alessandro Restuccia; Luisa Maria Borrome è difesa dagli avvocati Liborio Romito e Francesco Palmieri; Giuseppe Pititto è assistito dall’avvocato Diego Brancia; Rosaria Del Vecchio dall’avvocato Francesco Capria; Giovannina Del Vecchio dagli avvocati Francesco Sabatino e Francesco Capria; Nency Vera Chimirri è difesa dall’avvocato Carmelo Naso; Antonino Maccarone è assistito dall’avvocato Francesco Sabatino; Pantaleone Mancuso è difeso dall’avvocato Francesco Capria; Desiree Mancuso è difesa dall’avvocato Francesco Capria.