Latitanze e lupare bianche nel Vibonese nel racconto dei pentiti
ESCLUSIVO (AUDIO-VIDEO) Gli scissionisti vibonesi, informati preventivamente dell’operazione The Goodfellas, cercarono riparo da Peppone Accorinti. I piscopisani però andarono a prenderli perché temevano che il boss di Zungri li facesse sparire
Come per Asterix (anno 2005), Odissea (2006), Nuova Alba (2007), anche per The Goodfellas – I bravi ragazzi (2010), ovvero l’operazione antimafia che prima di ogni altra ne cristallizzò l’ascesa ai vertici della criminalità organizzata, Andrea Mantella ed il suo gruppo scissionista ebbero una soffiata alla vigilia della retata. Insomma, la Squadra mobile si dava parecchio da fare, al contempo però – a dire dell’ex padrino emergente di Vibo Valentia – gli spifferi dalla Questura rischiavano di vanificare il lavoro di anni d’indagini o, comunque, di costringere i poliziotti a dare perennemente la caccia a qualcuno.
Collaboratore di giustizia dal 4 maggio 2016, Mantella è un’enciclopedia vivente e chissà quanto ancora, sul piano investigativo, dalle sue dichiarazioni c’è ancora da sviluppare. Il 2010 e The Goodfellas furono tappe cruciali per la sua carriera criminale, che si sarebbe conclusa solo quando saltò definitivamente il fosso ponendosi al servizio della magistratura requirente.
E fu proprio nel suo profluvio del verbale illustrativo della sua collaborazione, che raccontò uno spaccato di vita criminale che metteva insieme il passato ed il presente, la vecchia guardia ed una nuova generazione di malandrini decisi a scalare le gerarchie della mala locale. Vigilia del 31 maggio 2010, il giorno di The Goodfellas. I mantelliani ebbero la soffiata e le figure di maggiore spicco fecero in tempo a darsi alla fuga. Salvatore Morelli, l’Americano, oggi latitante dopo la maxi-operazione Rinascita Scott, allora fu stanato dalla polizia solo otto mesi dopo la retata: si nascondeva in una casa estiva di via Roma, a Bivona. Relativamente più breve, invece, la storia alla macchia di Francesco Antonio Pardea, che il 30 ottobre 2010, ovvero cinque mesi dopo la retata della Squadra mobile di Vibo Valentia, fu ammanettato dai carabinieri di Gioia Tauro: si nascondeva in un covo di Galatro.
Ma chi li sostenne nella loro latitanza? Dove trascorsero i mesi precedenti? Mantella racconta che, inizialmente, i suoi due sodali «erano finiti nelle mani sbagliate», ovvero quelle di Peppone Accorinti, il boss di Zungri, la cui influenza, grazie ai Niglia di Briatico, suoi affiliati, si estendeva dal promontorio del Poro fino alla costa. Da questi – spiega il collaboratore – Morelli e Pardea erano «andati a “guardarsi”» dopo il blitz della Polizia. Allora, però, «abbiamo temuto la lupara bianca». Perché di Peppone, aggiunge ai pm di Catanzaro, non c’era da fidarsi e così intervennero due esponenti di primissimo piano del clan dei Piscopisani, ovvero Rosario Battaglia e Rosario Fiorillo che «sono andati a prenderli per portarli a Vibo Marina a casa di uno zio di Sasha e Davide Fortuna». Peppone, riferirà anche in altri verbali, «ha un cimitero alle spalle».
Lo conoscevano bene anche i Piscopisani, come rammenta anche Raffaele Moscato. L’ex killer, oggi altro pentito eccellente, lo indica come una figura di riferimento per spiegare la portata della lupara bianca nel Vibonese ed in Calabria. Per la capacità di fare sparire la gente azzarda una similitudine, quando viene interrogato per delineare il profilo di Rocco Anello, il capobastone dell’Angitolano. «Gli Anello – dice al pool di Gratteri – per noi erano brutte persone. Nel senso che andavi là ed era capace che non ti ritiravi… la usano parecchio la lupara bianca… e avevano la nomea come Peppone Accorinti. Vai là, mangi, ti diverti, ti bevi un bicchiere di vino e sei a posto…». Moscato racconta di quando i Bonavota gli riportarono un messaggio di Rocco Anello, che lo voleva conoscere. «Infatti Mimmo Bonavota, una volta, con Francesco Scrugli, mi dice “Sai, che ti vuole conoscere Rocco Anello, se vai là sotto… mio padre, tuo padre e Rocco Anello erano nella stessa cella…”. E all’epoca Sarino Battaglia mi disse “Non ti permettere di andare da nessuna parte…”». Insomma, il rischio era quello di non tornare indietro.
Lo stesso rischio che paradossalmente i Piscopisani avvertivano rispetto ad Accorinti – dice sempre Moscato – malgrado gli ottimi rapporti. E quasi ci ride su, Moscato, quando racconta degli inviti di Peppone a Battaglia: «“Vieni che ti preparo la stanza”, gli diceva. E Battaglia gli faceva una bracciata…».