Rinascita-Scott: la ‘ndrangheta a Vibo nei racconti di Camillò, fra affiliazioni e riunioni
La fusione fra i clan avvenuta al cimitero, gli incontri a casa di Bartolomeo Arena, la cultura mafiosa radicata in città e l’imposizione del “buon ordine”
Rafforza l’impalcatura accusatoria della Dda di Catanzaro, conferma il collaboratore Bartolomeo Arena, chiama in causa soggetti sinora rimasti estranei dall’inchiesta Rinascita-Scott ma, soprattutto, rompe il muro dell’omertà in una famiglia ed in un clan che rappresentano un pezzo importante nelle dinamiche della ‘ndrangheta della città di Vibo Valentia. E’ Michele Camillò l’ultimo collaboratore di giustizia che sta rendendo dichiarazioni di rilievo depositate dalla Procura distrettuale nel corso dell’udienza preliminare di Rinascita-Scott. [Continua]
La “società” di ‘ndrangheta di Vibo e la riunione al cimitero
Figlio di Domenico Camillò, 79 anni, ritenuto a capo del clan Pardea-Camillò-Macrì di Vibo Valentia, Michele Camillò descrive agli inquirenti la sua ascesa criminale. “Preciso che mio padre, per ovvie ragioni di opportunità, non mi è stato mai presentato espressamente come ‘ndranghetista. Il mio gruppo, quando sono entrato a farne parte nel 2013, faceva riferimento a Vincenzo Barba ed a Raffaele Franzè. Mi sono “distaccato” da questo gruppo nel settembre del 2015 e prima del 2013 non avevo un’idea precisa della criminalità organizzata a Vibo Valentia e persino del ruolo di mio padre, anche perché lui non parlava molto con me e mi teneva all’oscuro di tante cose. Quindi ho iniziato a sentir parlare di queste cose alla fine del 2012, ascoltando i discorsi che mi facevano Bartolomeo Arena e Marco Pardea i quali dicevano che noi tutti dovevamo “diventare uomini” che dovevamo rendere conto, che io non potevo restare fuori da tutto e che altrimenti non avrei saputo nulla di quanto accadeva in città, che dovevo “cercare un fiore” a Antonio Macrì, che era il perno di tutto e rispondeva a Raffaele Franzè.
L’idea era quella di riunire il nostro gruppo – sostanzialmente i nuclei familiari dei Pardea e dei Camillò e i soggetti vicini – a quello dei Lo Bianco-Barba, formando un’unica entità criminale. Tale unione fu sancita poi in una riunione al cimitero di Vibo Valentia alla quale parteciparono praticamente tutti gli affiliati e tutti mi fecero gli auguri per l’affiliazione. L’intento era quello di formare una società di ‘ndrangheta a Vibo Valentia. Ricordo che Arena, in particolare, diceva – ricorda Michele Camillò – che bisognava raggiungere un numero minimo di affiliati, ragion per cui riteneva opportuno affiancare il nostro gruppo a quello dei Lo Bianco-Barba. Questa “società” doveva “prendere conto” delle cose che succedevano a Vibo Valentia e costituire un “buon ordine” destinato a controllare se succedeva qualcosa in città”.
Le affiliazioni ed i riti
Michele Camillò ricorda quindi il giorno dell’affiliazione e dell’ingresso ufficiale nella ‘ndrangheta. “Quanto alla mia affiliazione, quel giorno del febbraio 2013 oltre a me, venivano affiliati anche Michele Manco, Marco Pardea e Domenico Pardea, con il padre di quest’ultimo che era già affiliato. Dapprima è stato battezzato il locale ad opera di Bartolomeo Arena che era l’unico a ricordare le formule dei riti. Lo stesso ha anche fatto la c.d. “puliciata”. A tutti e tre i nuovi affiliati hanno dato contestualmente la dote di picciotto e camorrista, dette “prima” e “seconda”. Nella copiata erano riportati i nomi di Raffaele Franzè, Totò Macrì, Raffaele Pardea, Vincenzo Barba, Bartolomeo Arena – quest’ultimo come “sfavorevole” – ed un quinto che adesso non ricordo. Nell’occasione dovevo recitare delle formule che tuttavia non riuscivo a ricordare, per cui le leggevo da alcuni fogli che mi vennero dati. Successivamente, a distanza di un mese circa, ho partecipato ad un ulteriore incontro in cui sono state concesse doti ad altri sodali. Tali incontri avvenivano nell’abitazione di Antonio Chiarella, detto “Ricotta”. Hanno preso parte: Nazzareno Franzè, detto “Paposcia”, Totò Macrì, Bartolomeo Arena i quali hanno affiliato Giuseppe Franzè e Antonio Franzè detto “codino “, il tutto seguendo lo stesso rituale dell’occasione precedente”.
Gli ulteriori incontri
Michele Camillò spiega quindi che in occasione delle riunioni gli vennero presentati come affiliati anche Domenico Pardea, residente a Pizzo, e Luciano Macrì. “Tra il febbraio e la Pasqua del 2013 – riprende il racconto Michele Camillò – partecipai ad un terzo incontro presso il garage del sodale Callipo Pasqualino, ubicato nei pressi dell’istituto scolastico magistrale, dove vennero affiliati lo stesso Callipo e Vincenzo Lo Gatto. Parteciparono gli stessi sodali dell’incontro precedente con l’aggiunta di Nicola Lo Gatto e Salvatore Lo Bianco detto “Gniccu”, entrambi presentati quali partecipi dei Lo Bianco-Barba. Le copiate dei nuovi affiliati riportavano gli stessi nominativi di quelli indicati prima, quindi in tutte e tre le occasioni da me finora ricordate furono seguiti gli stessi rituali, concesse le stesse doti (picciotto e camorra) ed attribuita la stessa copiata ed erano presenti i soggetti dell’occasione precedente più i nuovi affiliati”.
Le affiliazioni a casa di Arena
A distanza di poco tempo, un altro incontro si sarebbe tenuto nell’abitazione di Bartolomeo Arena. “Nell’occasione – ricorda Michele Camillò – c’è stata l’affiliazione di Michele Pugliese Carchedi e Michele Dominello, sempre con le medesime modalità. A tale incontro hanno partecipato le medesime persone prima indicate, anche se ricordo che i miei sodali mi riferivano che sarebbero bastati anche solo tre sodali di dote superiore per procedere all’affiliazione ed alla concessione di doti. Ricordo che al rito di affiliazione hanno partecipato, oltre a me, anche Bartolomeo Arena, Giuseppe Camillò, Michele Manco, Domenico Tomaino ed i due che dovevano essere affiliati, ovvero Michele Dominello e Michele Pugliese Carchedi”.
Da precisare che non figurano fra gli imputati di Rinascita-Scott Pasqualino Callipo, Marco Pardea, Nicola Lo Gatto, Giuseppe Franzè, Antonio Franzè, Antonio Chiarella. I loro nomi sono però indicati nei verbali del nuovo collaboratore Michele Camillò, depositati ora nel corso dell’udienza preliminare e per tale motivo divenuti conoscibili. Raffaele Franzè, detto “Lo Svizzero”, già condannato in via definitiva quale “contabile” del clan Lo Bianco nell’operazione “Nuova Alba” è invece deceduto nel maggio dello scorso anno.
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